Un famoso detto popolare afferma: gli occhi sono lo specchio dell’anima, o ancora: uno sguardo vale più di mille parole. Che il viso sia la parte più espressiva del nostro corpo è cosa nota, questo spiega perché da tempo immemorabile si sia cercato di cogliere il segreto che si cela dietro lo sguardo, quell’insieme di emozioni che le espressioni del nostro volto trasmettono, così importanti per le nostre relazioni sociali eppure non sempre facilmente decodificabili.
Gli studi mirati a cercare di comprendere il significato dei segnali che il nostro corpo è in grado di manifestare sono molto antichi, è interessante notare a riguardo che anche una disciplina pseudoscientifica come la fisiognomica, di cui troviamo contributi a partire dall’antica Grecia, abbia indirizzato la sua attenzione in particolare alle espressioni del viso. Famosi a riguardo gli studi dell’antropologo e criminologo italiano Cesare Lombroso, orientati a stabilire correlazioni tra l’aspetto fisico di una persona e le sue qualità psicologiche e morali, significativi proprio perché emanazione di una visione totalmente superata dal pensiero scientifico moderno.
Per trovare l’origine degli studi scientifici in questo campo, che ci porteranno a parlare dello strumento a cui è dedicato questo articolo, dobbiamo risalire a Charles Darwin e in particolare alla sua opera: “L’espressione delle emozioni nell’uomo e negli altri animali”, pubblicata nel 1872. Darwin fu il primo a teorizzare che la manifestazione comportamentale di alcune emozioni non è condizionata dalla cultura e dalle tradizioni locali apprese. Contrapponendosi alle teorie predominanti della sua epoca, con questo suo lavoro mise in luce come le espressioni delle emozioni negli animali e nell’uomo siano innate, e quindi un prodotto dell’evoluzione. Estendendo la teoria dell’evoluzione ai substrati biologici della cognizione, Darwin gettò le basi non solo per la moderna etologia, ma per tutti gli studi sul comportamento e per le future neuroscienze cognitive.
All’inizio degli anni 60’ Silvan Tomkins, uno psicologo che lavorava presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Princeton, studiò le emozioni da un punto di vista biologico, definendo “affect” la porzione biologica dell’emozione: “un meccanismo pre-programmato e trasmesso geneticamente”. Riallacciandosi agli studi di Darwin teorizzò che a ogni affect corrispondeva un preciso stimolo, che si manifestava attraverso una precisa espressione del volto, prima di una possibile elaborazione cognitiva da parte del soggetto. Organizzò gli affect in categorie, ognuno dei quali era collegato con una risposta fisiologica specifica. Identificò inizialmente sei coppie di affect, poi diventate nove, costituite da un affect di media intensità e uno di intensità più forte, come ad esempio la rabbia e la furia.
Arriviamo quindi al 1967 quando Paul Ekman, un giovane psicologo che era stato per un periodo allievo di Tomkins, decide di partire per Papua Nuova Guinea dove raggiunse un gruppo etnico, i Fore, isolati dal resto del mondo, con l’intenzione di verificare le tesi enunciate prima da Darwin e poi da Tomkins. Gli esperimenti condotti da Ekman in quella occasione, e poi ripetuti nel corso di altri viaggi, dimostrarono l’universalità delle espressioni facciali relative ad alcune principali emozioni.
Gli studi di Paul Ekman hanno permesso quindi di scoprire che alcune principali emozioni (rabbia, paura, felicità, tristezza, disprezzo, disgusto e sorpresa) vengono rappresentate dagli stessi muscoli facciali in tutti i popoli del mondo. Questa importante scoperta ha consentito di approfondire gli studi in questo campo con l’obiettivo di stabilire con maggior precisione la correlazione tra emozioni ed espressioni facciali.
Il volto umano può compiere oltre 10.000 espressioni diverse, molte delle quali non possiedono nessun significato particolare, sono semplici azioni muscolari prive di qualunque correlazione di senso. Alcune invece sono determinanti e significative dal punto di vista espressivo. Come possiamo imparare a riconoscerle?
Eccoci dunque arrivati, dopo questo breve excursus storico, al Facial Action Coding System. Il FACS è il sistema di codifica dei movimenti dei muscoli facciali creato nel 1978 da Paul Ekman e Wallace V. Frisen. È il primo atlante del volto umano che comprende una descrizione sistematica (testi, fotografie e filmati) per poter misurare i movimenti facciali in termini anatomici, scomponendoli in singole unità di movimento dette Action Unit.
Il FACS permette di identificare qualsiasi movimento del volto umano, in modo puramente descrittivo, libero quindi da ogni possibile inferenza interpretativa. Per raggiungere il loro obiettivo gli autori hanno fatto riferimento esclusivamente all’analisi del fondamento anatomico dei movimenti muscolari del volto. Ognuno di questi movimenti è il risultato dell’azione singola e sinergica dei muscoli facciali, a questo proposito il FACS prende in considerazione il modo in cui ogni muscolo facciale agisce nel modificare visibilmente la configurazione del volto. Gli autori hanno altresì fatto ricorso alla tecnica di Duchenne che consiste nello stimolare con elettrodi diversi fasci di fibre muscolari, così da determinare, in modo riflesso, gli effetti cinesici esteriormente osservabili.
L’esistenza di una identità funzionale tra azione muscolare ed emozione a essa collegata è dimostrata anche dal fatto che l’attivazione volontaria di alcuni muscoli facciali può generare un’emozione. Ekman e Friesen riscontrarono questo effetto costruendo il FACS, dopo ore trascorse a eseguire migliaia di mimiche volontarie si accorsero che simulare con il solo volto una espressione, ad esempio la tristezza, induceva in loro tutte le reazioni fisiologiche e psicologiche relative a questa emozione.
Il sistema di codifica, analisi e misurazione d’intensità delle espressioni facciali FACS si è imposto come lo strumento più efficace e completo, diffuso nella comunità scientifica e utilizzato nei programmi di formazione dell’FBI e di altri apparati legati alla sicurezza, oggetto di molteplici ricerche applicative e pubblicazioni. Un Codificatore Certificato FACS è in grado di studiare ogni conformazione assunta dal volto, come base di partenza per l’analisi delle espressioni facciali e per la loro decodifica, indipendentemente dalla loro funzione emotiva.
Ma lasciamo per un attimo la parola direttamente al Prof. Ekman riguardo a questo strumento: “il codificatore che utilizza il FACS seziona ogni espressione osservata, scomponendola nelle singole unità (AUs – Action Units) che producono il movimento. Ciò avviene attraverso la visione ripetuta, rallentata e bloccata di alcune registrazioni, al fine di determinare quale unità – o combinazione di unità – può causare il cambiamento espressivo osservato. Il tabulato di un’espressione facciale consiste nella lista delle varie unità che la producono. Vengono inoltre determinate la precisa durata di ogni movimento, la sua intensità e le eventuali asimmetrie bilaterali”
Le emozioni attivano circuiti involontari, questa è la ragione per cui è molto difficile nascondere un’emozione, alcuni muscoli si attivano comunque, anche se solo per un breve istante. Si tratta delle micro-espressioni facciali: manifestazioni che hanno una durata molto breve, tra un quinto e un venticinquesimo di secondo, di cui non siamo quasi mai consapevoli, ma che lasciano trapelare preziose informazioni per chi è capace di leggere questi automatismi.
Il Codificatore Certificato FACS è uno specialista esperto nell’analizzare le espressioni facciali delle persone (live, o dall’osservazione di foto o video che ritraggono il volto delle persone in movimento). Le applicazioni di questo strumento sono molteplici, in campo scientifico trovano impiego nell’ambito della ricerca psicopatologia e in etologia. Il metodo FACS viene utilizzato nella stesura di relazioni tecniche validabili (ad esempio in ambito psicologico-forense). Altre applicazioni sono legate all’esigenza di mappare, in modo da fornire indicatori utili e in tempi brevi, un alto numero di persone, si pensi ad esempio al settore della pubblica sicurezza nei luoghi sensibili e affollati. In sintesi in tutti i contesti dove comprendere le relazioni, la comunicazione e le emozioni diventa non solo necessario ma prioritario.
Un ulteriore e singolare campo di applicazione, che ci consentirà di fare alcune importanti e conclusive considerazioni, è l’elaborazione e lo sviluppo di animazioni digitali per la realizzazione di filmati. Il database delle espressioni facciali utilizzato dalla Disney-Pixar nei suoi cartoni animati più recenti è stato strutturato grazie al FACS e alla preziosa consulenza di Paul Ekman.
Questo ultimo esempio ci permette di dare risalto a un aspetto determinante rispetto al futuro sviluppo della tecnologia e dell’intelligenza artificiale. Molte società stanno investendo per realizzare software capaci di leggere e decodificare le espressioni facciali, potremmo paragonare questo momento storico al periodo in cui abbiamo inventato i calcolatori per sostituirli alla mente umana nell’eseguire operazioni matematiche complesse.
Ma interpretare il volto umano non è, o almeno non è ancora, un’operazione di puro calcolo, l’algoritmo delle emozioni ha ancora bisogno di una guida umana. Lo spazio presente non ci da la possibilità di approfondire questo argomento, possiamo però ricordare che Paul Ekman stesso è convinto che a tutt’oggi l’uomo sia ancora lo “strumento” più affidabile nell’analisi delle espressioni facciali, dato che riesce a contestualizzare e interpretare meglio la mimica umana rispetto a un software. Quando ci si affida completamente a un software scopriamo che dietro a questi numeri e grafici statistici si possono celare potenziali errori d’interpretazione del comportamento. La velocità nell’ottenere il risultato non è sempre premiata dalla validità e attendibilità di ciò che stiamo cercando. Avvalersi quindi di un esperto FACS capace di fornire una consulenza in merito ai dati rilevati dai software, incrementa esponenzialmente la validità dei risultati per gli scopi prefissati.
Comprendere le emozioni sembra essere quindi una vicenda ancora molto “umana”, ma qui ci fermiamo, nessuno per ora può dirci cosa il futuro ci riserverà.