Le statistiche dicono che la maggior parte di noi non va oltre le prime quattro o cinque pagine, in ogni caso disponiamo già di decine e decine di informazioni e suggerimenti. Vediamone alcuni: come redigere un curriculum; come acquisire informazioni sull’azienda; come approfondire la job description. Troviamo poi pagine dedicate alla preparazione personale che forniscono consigli riguardo allo stile di comunicazione, verbale e non verbale, alla gestione delle emozioni e dello stress. Infine, si parla di dress code e qualche documento fa riferimento anche all’alito e alle profumazioni.
Non mancano inoltre i suggerimenti per chi si siede dall’altro lato del tavolo, con particolare attenzione alle migliori domande da fare al candidato per scoprire davvero chi sia. Nulla di sbagliato in tutto ciò, anche se l’impressione che si ricava da queste premesse è una sorta di sfida tra chi è più bravo a giocare le proprie carte.
Immaginiamo allora per un attimo di osservare dall’alto quel tavolo dove siedono di fronte due persone, chiaramente con ruoli diversi.
Da tale punto di osservazione è più facile analizzare la scena secondo una logica di sistema, e in questo caso sarebbe saggio pensare che dal colloquio dovrebbe scaturire il miglior incontro possibile tra i bisogni e gli interessi delle due parti. In realtà, ciò non accade, o accade ancora troppo raramente, e una delle ragioni principali è legata al fatto che ai tavoli di selezione si mente.
Una ricerca effettuata nel Regno Unito da EIA (Emotional Intelligence Academy) analizza le distorsioni e le omissioni più frequenti:
• lo stipendio precedentemente percepito (23%)
• il livello di esperienza precedente (14%)
• il reale titolo di studio (13%)
• date e durata delle precedenti mansioni (10%)
• il titolo professionale riconosciuto (9%).
I dati relativi a queste piccole o grandi menzogne sono in aumento: ciò non sorprende all’interno di un mercato che impone ai candidati di distinguersi ed emergere, in uno scenario sempre più competitivo e selettivo. In alcuni casi la dissimulazione si limita a mere esagerazioni, ma in molti altri ci troviamo di fronte a dichiarazioni realmente false e scorrette. Qui il nuovo assunto può risultare davvero non idoneo alla mansione, e la sua incompetenza può comportare seri danni all’azienda in termini di tempo e denaro. Oltre a ripercuotersi sugli altri potenziali candidati, scartati ingiustamente nel corso della selezione anche se più competenti.
Da diversi anni, oramai, il campo d’indagine della selezione si è esteso oltre l’area delle competenze specialistiche, per rivolgere un’attenzione sempre più mirata all’ambito delle cosiddette soft skill, con l’intento di comprendere le motivazioni, i valori e gli orientamenti comportamentali del candidato. Mentire su questi aspetti risulta più difficile se chi conduce la selezione è preparato a cogliere aspetti di natura emotivo-comportamentale. In termini più generali, è bene ribadire che il colloquio di selezione non dovrebbe mai essere vissuto come una sfida, e questo vale per i due lati del tavolo. Il gioco asimmetrico teso a dimostrare chi è più bravo, chi vince e chi perde, non paga ed espone a quel rischio ben sintetizzato dall’affermazione che “le aziende assumono per le competenze e licenziano per i comportamenti”.
I tempi sono maturi per cominciare a pensare che le conoscenze di cui disponiamo possono aiutarci a modificare la cultura che accompagna le attività di selezione, affrontandole quindi con un mindset diverso.
La tendenza a fornire dati non veritieri da parte dei candidati, cui abbiamo prima accennato, in fondo non è che la risposta, sicuramente non corretta, a una diffusa distorsione percettiva che porta a travisare il senso di queste attività. Contrastare tale tendenza è possibile a partire dall’impegno per un miglioramento delle competenze di chi ha la responsabilità di gestire i colloqui di selezione.
Deve migliorare la capacità di osservazione e la sensibilità degli operatori del settore, per poter estendere l’indagine alla sfera delle emozioni e delle motivazioni, valorizzando quindi quegli aspetti legati all’intelligenza emotiva che svolgono un ruolo determinante nell’equilibrio del processo valutativo.
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