Le emozioni hanno un impatto determinante sulle nostre decisioni. Gli studi di Kahneman e Tversky prima e quelli più recenti di Epstein e Damasio ci hanno aiutato a comprendere quanto le teorie classiche sul processo decisionale fossero astratte e quindi molto lontane dalla realtà sperimentata quotidianamente da ognuno di noi. I premi Nobel assegnati a Daniel Kahneman nel 2012 e a Richard Thaler nel 2017 per l’economia comportamentale, hanno sancito in modo definitivo l’importanza di questa visione. Nel più conosciuto dei suoi libri, Pensieri lenti e pensieri veloci, Kahneman ci spiega che il processo analitico e razionale (pensiero lento) riguarda solo particolari e limitate situazioni, mentre nella vita di tutti i giorni, le innumerevoli decisioni che dobbiamo prendere, sono determinate da processi molto più rapidi, sintetici e intuitivi (pensiero veloce), basati sulle esperienze acquisite e quindi, inevitabilmente, sui vissuti emotivi che hanno accompagnato quelle specifiche situazioni.
A partire dall’esperienza personale ognuno di noi può facilmente accorgersi della grande quantità di scelte che ogni giorno compiamo in questo modo. Situazione che il neuroscienziato Antonio Damasio sintetizza con la sua celebre frase: “non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”. Quando prendiamo delle decisioni siamo guidati prevalentemente dalle nostre emozioni e solo successivamente costruiamo una spiegazione razionale a sostegno della scelta che abbiamo compiuto. Comportamento che è stato definito “razionalizzazione post-hoc“ dal professor Raj Raghunathan dopo una serie di esperimenti condotti presso l’Università del Texas ad Austin.
Lo sviluppo di questi studi ha fatto decollare una giovane disciplina, il neuromarketing, che punta rendere più efficaci le strategie di comunicazione e valorizzazione dei prodotti attraverso lo studio delle reazioni comportamentali del consumatore. La valutazione del coinvolgimento emotivo diventa quindi un aspetto di fondamentale importanza per lo sviluppo di strategie di neuromarketing efficaci. Le tecniche prevalentemente adottate sono l’eye-tracking, indicatore che traccia lo spostamento degli occhi mentre si osserva un’immagine, oppure, quando il contesto sperimentale lo consente, l’utilizzo di rilevazioni biofisiologiche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI) che identifica le aree del cervello attive in relazione a una specifica stimolazione.
Alcuni importanti autori che si occupano di neuromarketing sono concordi nell’affermare come non sia facile prevedere gli sviluppi di questa disciplina, che appare strettamente legata ai progressi nel campo delle neuroscienze. Ci troviamo oggi di fronte a un numero sempre maggiore di dati a disposizione, che non sono tuttavia sempre facilmente interpretabili. Puntare a una migliore comprensione del coinvolgimento emotivo, significa anche riuscire a identificare la tipologia di emozione (sorpresa, felicità, paura, ecc.) che viene innescata da una determinata stimolazione. Si apre, in questa direzione, un campo di applicazione che vede nell’Analisi Emotivo-Comportamentale, metodologia derivata dagli studi di Paul Ekman che da anni portiamo avanti attraverso le nostre iniziative, uno strumento di grande interesse.
L’Analisi Emotivo Comportamentale è un metodo interattivo che integra un insieme di competenze finalizzate a comprendere a fondo il vissuto emotivo di un soggetto attraverso tecniche valutative di analisi che prendono in esame sei diversi canali di comunicazione. I vantaggi legati a una possibile applicazione di questa metodologia sono molto evidenti: le indicazioni di cui si serve il neuromarketing si basano su elementi di natura prevalentemente quantitativa, misurano cioè la presenza e l’intensità di un segnale, un’analisi capace di restituire indicazioni anche di tipo qualitativo è in grado di fornire una rappresentazione più ampia e precisa delle situazioni in esame.
Il secondo aspetto riguarda la possibilità di monitorare, e successivamente modulare con maggior precisione, i segnali emotivi presenti all’interno di uno spot pubblicitario, e quindi di non concentrarsi unicamente sulle reazioni emotive dello spettatore. L’insieme di conoscenze acquisite nel campo delle espressioni facciali, ad esempio, permette un controllo estremamente preciso della congruenza dei segnali emotivi trasmessi dai protagonisti di uno spot, risultato che garantisce un miglior coinvolgimento empatico da parte di chi osserva.
Il tuo carrello è vuoto.