In questi ultimi anni l’interesse per il tema delle emozioni vive un momento di forte crescita.
Negli ambienti di lavoro assistiamo a una rinnovata attenzione per il benessere delle persone che passa inevitabilmente dall’ascolto delle emozioni.
Recenti studi, accreditati anche dal conferimento di premi Nobel, hanno evidenziato il ruolo determinante delle emozioni nei processi decisionali e questo aiuta a capire quanto la consapevolezza emotiva possa concorrere a produrre performance lavorative migliori.
Per la funzione Risorse Umane diventa allora fondamentale valutare l’intelligenza emotiva in ambito professionale.
E a differenza del passato, oggi questi temi possono essere affrontati su basi scientifiche. Ne abbiamo parlato con Diego Ingrassia, CEO di I&G Management e autore del libro Il cuore nella mente –uno strumento che guida il lettore alla scoperta della valutazione emotivocomportamentale– e con Marcello Mortillaro, Senior Researcher dello Swiss Center for Affective Sciences, uno dei centri più avanzati al mondo nella ricerca sulle emozioni.
Sono ormai più di 20 anni che si parla di intelligenza emotiva, ma mi pare che in questi ultimi anni l’interesse riguardo al tema sia ulteriormente cresciuto.
Avete anche voi questa impressione?
Diego Ingrassia: È vero, da qualche anno si parla molto di emozioni, spesso anche in modo impreciso e superficiale.
Penso che questo dipenda molto dal modo in cui è cambiata la comunicazione.
Basterebbe ricordare quanto l’uso massiccio degli smartphone, strumento che in fondo ha solo 10 anni, abbia contribuito a forme di comunicazione, come quelle dei social, sintetiche, istantanee e basate principalmente su immagini, che sono per definizione alla ricerca di un forte impatto emotivo.
Ma al di là dell’aspetto mediatico, in questi anni abbiamo registrato un interesse via via crescente da parte di molte realtà del mondo del lavoro e non solo.
Credo che questo non sia solo legato a una moda del momento, ma a un bisogno più profondo che la nostra società sta manifestando negli ultimi anni.
È possibile descrivere questo bisogno ‘più profondo’?
D.I.: Penso che il costante aumento di partecipanti ai nostri corsi di certificazione sia dovuto alla perdita che stiamo riscontrando nella dimensione ‘dell’essere’, soppiantata da una frenesia che ci porta a focalizzarci in modo smodato sulla dimensione del ‘fare’.
La nostra cultura non ci ha mai aiutato ad approfondire le dinamiche emotive e questa è una delle ragioni che ci ha spinto, nel 2008, ad affidarci agli studi e alle teorie dello scienziato più autorevole al mondo su questo campo: il Professor Paul Ekman, con il quale collaboriamo per rendere fruibili le sue ricerche attraverso metodologie applicabili anche nei contesti aziendali.
Per noi è stato sempre importante erogare la formazione in modo pratico ed esperienziale, basandoci però su modelli validati scientificamente.
Questo è anche il motivo per cui oggi siamo qui insieme con Marcello Mortillaro.
Il tema delle emozioni ha infatti anche stimolato l’interesse da parte della comunità scientifica…
Marcello Mortillaro: Sì è così, ed è proprio l’attenzione all’approccio scientifico che mi ha fatto decidere di collaborare con la società di Diego.
Credo anche che sia importante segnalare come, nel caso di questo grande interesse riguardo alle emozioni, ci troviamo di fronte a uno dei rari casi in cui la spinta iniziale è arrivata proprio dal mondo accademico.
Ci sono diversi esempi che possiamo fare, a partire dai premi Nobel assegnati per l’Economia comportamentale, mi riferisco a quello a Daniel Kahneman nel 2002 e, più recentemente, a Richard Thaler nel 2017.
L’aspetto comune di queste ricerche è aver fatto comprendere il ruolo della componente emotiva nelle decisioni economiche.
Hanno di fatto aperto una breccia all’interno di una disciplina accademica che analizzava il pensiero economico in chiave puramente razionale.
Questi studiosi ci hanno fatto capire che la realtà è molto diversa.
La stessa cosa è accaduta in questi anni anche in altre discipline: le emozioni, viste per molto tempo come un limite, sono state rivalutate come risorse.
Come è avvenuto il passaggio dal mondo della ricerca alla società civile?
M.M.: Gli esempi potrebbero essere molti anche in questo caso: penso a quanto fatto negli Stati Uniti dall’Università di Yale.
È stato creato un protocollo chiamato Ruler: si tratta di un kit che qualunque scuola a richiesta può ottenere, composto da un insieme di esercizi che gli insegnanti possono adottare per sviluppare le competenze emotive con i ragazzi.
Questa è una cosa che 20 anni fa non si sarebbe mai fatta.
Un ultimo esempio è il film Inside Out della Disney Pixar, per la realizzazione del quale hanno lavorato ricercatori nel campo delle emozioni di primissimo piano, tra i quali Paul Ekman: è un prodotto dedicato all’intrattenimento, ma con caratteristiche tali da permettere il passaggio nella coscienza collettiva di importanti insegnamenti.
Mi potete fare qualche esempio di ricerche che indicano l’importanza dell’intelligenza emotiva?
D.I.: Un caso interessante è quello di una ricerca che ha coinvolto quasi 600 studenti dell’Università Statale di Milano: ha confermato come alcune emozioni, che alcuni chiamano “negative”, possono invece avere un ruolo determinante nelle nostre decisioni.
La malinconia per esempio è un mix di emozioni che contempla la tristezza e la felicità.
Attraverso questa ricerca abbiamo dimostrato che le emozioni che proviamo influenzano il valore che attribuiamo alle cose.
In che senso?
D.I.: Le società che sono in grado di generare, attraverso le loro pubblicità, l’emozione di tristezza, hanno più probabilità di vendere i loro prodotti e applicare un prezzo più alto, questo perché, quando siamo tristi, siamo attivati da un sentimento di perdita e siamo quindi più disponibili a pagare di più per quello che non abbiamo e a vendere a un minor prezzo ciò che già possediamo.
In questi anni abbiamo condotto anche ricerche in ambito sportivo, seguendo una squadra di pallavolo del campionato femminile di Serie A e abbiamo scoperto quali sono le emozioni che, efficacemente gestite, possono portare una squadra a una performance migliore.
Oggi con Marcello stiamo collaborando alla taratura del primo test che valuta in modo ‘esperienziale’ le competenze emotive sulla popolazione manageriale italiana.
C’è qualcosa di nuovo o comunque di importante che sta accadendo nella ricerca sulle emozioni?
M.M.: Nei più recenti sviluppi della ricerca sulle emozioni vedo il tentativo di andare oltre, di cambiare paradigma su alcuni importanti elementi.
Nell’osservazione del comportamento non verbale, per esempio, prima ci si focalizzava molto sul volto e poco sugli altri aspetti, oggi assistiamo a una tendenza sempre più diffusa di analisi caratterizzate da un approccio multimodale.
Prendere in considerazione contemporaneamente il volto, la postura, la voce, i gesti e le parole era qualcosa che prima non si faceva, anche a causa di limiti metodologici e tecnologici.
Tutto questo rappresenta un vero cambiamento: una visione più olistica della comunicazione emotiva.
L’ultimo aspetto importante da sottolineare è una maggiore attenzione a interrogarsi, fin dai primi passi, sull’applicabilità delle ricerche.
Chiedersi fin dall’inizio perché lo facciamo e a che cosa serve.
Questo approccio pragmatico è molto importante in termini di efficacia e concorre a ridurre i tempi di passaggio dal laboratorio alla realtà delle organizzazioni del lavoro.
Quali ricerche avete attualmente in corso presso il vostro centro?
M.M.: Innanzitutto è importante ricordare che si tratta di un centro multidisciplinare di ricerca, emanazione dell’Università di Ginevra.
Al suo interno lavorano ricercatori di differenti discipline: Psicologia, Neuroscienze, Filosofia, Economia, Sociologia attivi su progetti di ricerca interdisciplinari.
Le ricerche in corso sono decine, il mio campo d’interesse riguarda le ricerche sulle competenze emotive.
Tra i progetti che seguo attualmente uno ha come obiettivo di cercare di comprendere, attraverso lo studio della comunicazione non verbale, come cambia la percezione delle emozioni all’interno delle diverse culture, con una particolare attenzione a compiere osservazioni avvicinandosi il più possibile alle situazioni reali.
Seguo poi un progetto di ricerca sulle competenze emotive nella professione infermieristica e un’attività di ricerca presso un importante istituto di formazione nell’ambito delle professioni dei servizi e del management, molto interessante perché abbiamo la possibilità di seguire gli studenti in un arco temporale di 10 anni e valutare quindi, attraverso il test che abbiamo creato, le loro competenze emotive all’inizio del percorso di studio e dopo alcuni anni di attività professionale intrapresa.
Qual è l’atteggiamento delle aziende rispetto alle emozioni? Quali sono le richieste che vi sottopongono le organizzazioni?
D.I.: Negli ultimi due-tre anni abbiamo assistito a un aumento di interesse riguardo al benessere delle persone.
Un esempio significativo sono le richieste orientate alla ricerca di strategie efficaci per la gestione dello stress.
L’aspetto interessante che stiamo riscontrando è che sensibilizzare le persone rispetto alle emozioni aiuta a contrastare quella mentalità –tipica di molti ambienti di lavoro– che vorrebbe sempre ottenere risultati efficaci in brevissimo tempo.
Imparare ad ascoltare le proprie emozioni aiuta a capire che miglioramenti, anche importanti, si possono ottenere, ma richiedono un giusto tempo per poter sviluppare un’adeguata competenza e consapevolezza.
In che modo aiutate le imprese su queste tematiche?
D.I.: Molti dei partecipanti ai nostri corsi mi chiedevano, sempre più spesso, uno strumento che potesse favorire la consapevolezza delle emozioni e aiutare le persone, anche i non specialisti della materia, ad avvicinarsi ai modelli e alle strategie per gestire con più sicurezza le emozioni.
È per questa ragione che ho deciso di pubblicare un libro che condensa gli ultimi anni di lavoro del nostro gruppo e per il quale Paul Ekman ha voluto dare il suo contributo attraverso un’interessante prefazione.
Il libro si intitola Il cuore nella mente, le teorie che ho deciso di approfondire fanno riferimento a studi e ricerche che hanno trovato solide conferme all’interno di tutta la comunità scientifica.
Il libro ha l’ambizione di diventare uno strumento di lavoro, che si presta a differenti livelli di lettura e approfondimento, un manuale, per tutti coloro che desiderano approfondire l’analisi emotivo comportamentale.
Restando tra gli strumenti, il test di valutazione dell’intelligenza emotiva di cui si è parlato, cosa valuta e come è strutturato?
M.M.: Come prima cosa è fondamentale spiegare alcune caratteristiche peculiari del test che lo differenziano dagli altri.
Non misura un tratto di personalità, ma valuta specifiche competenze e, diversamente da altri test non si tratta di una autovalutazione, ma di un assessment –questa è la seconda importante distinzione– durante il quale vengono assegnati dei compiti, situazioni cui bisogna rispondere, che generano risposte più o meno corrette, rispetto a criteri basati su aspetti teorici e su dati empirici che abbiamo raccolto.
Le competenze che misuriamo con questo strumento sono: la capacità di riconoscere le emozioni a partire dal comportamento non verbale; la capacità di comprendere le emozioni dell’altro e di riuscire quindi a entrare in sintonia con il suo stato emotivo; la capacità di gestire le emozioni dell’altro; la capacità di gestire le proprie emozioni.
In sintesi, possiamo dire che durante il test noi osserviamo queste competenze e valutiamo con quanta abilità le persone le usano.
Aggiungo anche un ultimo elemento relativo al lavoro svolto: le situazioni oggetto del test sono nate attraverso l’elaborazione di molte interviste fatte ai manager di diverse aziende relative alle loro esperienze nella gestione di situazioni professionali che avevano generato un coinvolgimento emotivo.
Focalizziamoci allora sulle aziende in ambito professionale: quali elementi possiamo evidenziare in questo senso?
D.I.: Questo test è nato per valutare le competenze emotive in ambito professionale, quindi non personale o clinico.
La nostra esperienza ci ha insegnato che il comportamento emotivo può variare significativamente in relazione al contesto: probabilmente ognuno di noi ha conosciuto persone che si comportano in modo molto diverso se osservate nella vita privata rispetto all’ambiente lavorativo.
Parlare di queste differenze mi aiuta anche a spiegare il lavoro di taratura che stiamo svolgendo sul test per adattarlo al mondo manageriale italiano.
Contiamo di essere pronti per la distribuzione a partire da giugno 2019.
Quale è la principale importanza di questo test?
D.I.: Oltre a essere uno strumento straordinariamente efficace in ambito di selezione e valutazione del potenziale, grazie alla sua capacità predittiva in aree comportamentali scarsamente indagate da altri strumenti, il test ci consentirà di rendere ancora più efficace la formazione sulle competenze emotive, perché potrà essere utilizzato come feedback di autodiagnosi all’interno dei corsi, ma anche dare la possibilità di valutare l’efficacia di quei percorsi formativi che si sviluppano in un lungo arco temporale, utilizzando il test all’inizio e alla fine del percorso.
Ho l’impressione che, almeno in alcuni contesti aziendali, sia presente ancora una certa diffidenza: un pensiero secondo cui le emozioni sono importanti, ma le cose che contano davvero sono altre.
Cosa ne pensate?
M.M.: È vero che ci sono ancora delle resistenze, ma credo siano ormai molto marginali rispetto al passato, in particolare nei giovani, che sono più aperti su questi temi, da loro definiti genericamente ‘soft skill’.
Questo è un passaggio importante, perché hanno compreso che queste qualità –come ogni altra competenza– possono essere apprese e allenate, e noi sappiamo che è esattamente così. L’intelligenza emotiva può essere migliorata negli anni attraverso l’esperienza, anche se le migliori prestazioni sono sempre legate a una combinazione di competenza ed esperienza.
D.I.: Le aziende vogliono vedere i risultati, questo è il problema.
Per cui non basta affascinare le persone con il tema delle emozioni, dobbiamo essere capaci di dimostrare come questa specifica competenza migliora la performance lavorativa.
Avere solide conoscenze, esperienza, consapevolezza e strumenti efficaci a disposizione è fondamentale.
Per troppi anni questi temi sono stati affrontati con strumenti privi di una base scientifica e condizionati da un eccesso di soggettività: questo è uno degli aspetti più importanti della nostra collaborazione, è un valore importante, di cui siamo orgogliosi.
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