ORIONE – ANNO 5 — N. 15 — Dicembre 2018 fondazionesinapsi.it
L’etimologia della parola “maschera” è incerta, ma i significati che le vengono attribuiti, per quanto diversi, non sono poi così lontani: “strega”, oppure “fuliggine”, “fantasma nero”. È interessante poi scoprire, indagando sulla sua origine, un curioso gioco di specchi. L’utilizzo della maschera – oggetto presente presso moltissime culture – serve a celare il volto della persona, ma se cerchiamo l’etimologia di “persona”, scopriamo che deriva da una parola etrusca che significava “maschera teatrale”. Maschera e persona s’inseguono da sempre, nell’eterna ricerca di senso tra “essere” e “apparire”. Alla luce di questo sguardo nulla distingue lo specchio di Narciso, il ritratto di Dorian Gray, le opere di Pirandello e la moda recente del selfie. Non a caso proprio Oscar Wilde affermava: «Ogni uomo mente, ma dategli una maschera e sarà sincero». La maschera è un “filtro” che ci aiuta a sopravvivere nella complessità del moderno vivere quotidiano, dove ognuno di noi è chiamato a interpretare più ruoli.
Scenario magistralmente rappresentato da Erving Goffman nel suo celebre La vita quotidiana come rappresentazione. La maschera può esserci di grande aiuto nel calarci all’interno di un ruolo. Dietro il suo velo è possibile anche scoprire, come affermava Oscar Wilde, una “strana libertà nell’esprimere parti di noi normalmente nascoste o trattenute”. Ma tutto questo richiede consapevolezza. Solo attraverso un buon equilibrio emotivo e una precisa conoscenza di sè è possibile “attraversare” i diversi ruoli senza che la maschera prenda il sopravvento.
Quando questo avviene la spinta vitale dell’individuo si spegne, per dissolversi nella maschera. A questo probabilmente alludeva Jean Paul Sartre quando, di fronte a un cameriere che si presentò dicendo «Sono il cameriere!» rispose: «No, lei non è il cameriere, lei fa il cameriere!»
La consapevolezza emotiva è un traguardo importante, e il primo passo per raggiungerla è saper descrivere come ci si sente e identificare l’elemento (la persona, la situazione, il ricordo, la percezione) che ha generato il nostro stato emotivo. Il secondo passo è osservare le nostre reazioni. A volte è difficile averne il controllo e comprendere se la nostra risposta sarà costruttiva o distruttiva.
Se riconosciamo le emozioni nel momento in cui si manifestano e siamo in grado di comprendere quando la loro intensità diventa disadattiva, allora possiamo migliorare il nostro benessere. Possiamo ritardare la nostra risposta comportamentale, cercando di renderla coerente e funzionale al contesto in cui ci troviamo.
«Le emozioni accadono,» afferma Paul Ekman, non possiamo sceglierle. Le emozioni ci accompagnano nel corso della vita, si mescolano ai nostri pensieri per generare ricordi, colorano le nostre esperienze. Sono essenziali per la nostra esistenza individuale e sociale.
Per questa ragione, ho recentemente collaborato con piena convinzione a un progetto che vede coinvolti Paul Ekman e il Dalai Lama, con l’obiettivo di aiutare insegnanti e professionisti ad acquisire le competenze necessarie per gestire in modo efficace le emozioni. Si tratta della realizzazione di un Atlante delle emozioni, disponibile gratuitamente online, che riassume le ultime ricerche in tema di emozioni nel quale si possono trovare descrizioni puntuali e strategie su come intervenire su noi stessi per gestirle in maniera costruttiva. Ed è ancora per questa ragione che ho deciso di raccogliere in un libro la mia esperienza nell’analisi emotivo comportamentale e sulle emozioni.
Il titolo che ho scelto è Il Cuore nella Mente. Ho voluto che fosse un manuale rigoroso nel suo approccio scientifico e agile al tempo stesso, una lettura utile ad acquisire le basi per lo sviluppo delle competenze emotive, uno strumento di lavoro per molti professionisti e, insieme, un’opera capace di ampliare la consapevolezza necessaria a vivere la nostra vita liberi da tutte le maschere che non rappresentano il nostro vero io.
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