Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “La pratica del coaching nell’era dello stress”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Stress – n. 269, Settembre-Ottobre 2018 – GIUNTI EDITORE
Se vuoi costruire una nave, non riunire i tuoi uomini per dar loro degli ordini, per spiegare ogni dettaglio, per indicar loro dove trovare ogni cosa. Se vuoi costruire una nave, fai nascere nel cuore dei tuoi uomini il desiderio del mare». Ci sono molta saggezza e anche pensiero strategico in queste parole di Saint-Exupéry, un ottimo punto di partenza per affrontare il tema della motivazione.
Si è soliti pensare alle motivazioni come alla “benzina” delle nostre azioni, a ciò che ci dà la spinta, ma esse rappresentano molto di più.
Le nostre motivazioni rappresentano i nostri desideri, i nostri valori, i nostri parametri di giudizio, le lenti attraverso cui osserviamo il mondo.
Le scelte che abbiamo compiuto nella vita. Perché lasciare un lavoro prestigioso e magari ben pagato per un posto che non ha tali caratteristiche? Perché ciò che ha senso ed è importante per noi, per qualcun altro potrebbe sembrare superfluo o di poco valore? Perché viviamo alcune situazioni come conflittuali, quando altre persone valutano quelle stesse situazioni in maniera del tutto diversa? Se ci pensiamo bene, questi sono alcuni degli argomenti più importanti che affrontiamo durante le sessioni di coaching.
La risposta è che le cose che agli occhi di altri possono sembrare assurde, trovano un significato preciso se osservate attraverso la lente delle nostre motivazioni, ed è esattamente attraverso questa lente che dobbiamo ascoltare e comprendere la rappresentazione del mondo di chi abbiamo di fronte. Le nostre motivazioni si formano durante la crescita, sono influenzate dall’educazione che abbiamo ricevuto, dall’ambiente nel quale siamo cresciuti, dalle frequentazioni scolastiche e dalle amicizie che abbiamo avuto.
Esperienze forti, capaci di lasciare un segno destinato a consolidarsi: “leve motivazionali” che ci accompagneranno per il resto della nostra vita, una sorta di marchio di fabbrica caratteristico di ogni persona. Qualità che cercheremo di trasmettere ai nostri figli, consapevoli che potranno imprimere una giusta direzione alle loro vite. Valori che ricercheremo nelle persone con cui allacciare salde relazioni.
Ma saranno anche l’origine di conflitti di fronte a persone che non saranno disposte a riconoscere questi valori o che addirittura li calpesteranno. Riflessioni che ci aiutano ad ampliare il nostro sguardo sulle motivazioni: entità non facilmente negoziabili, condensato dei nostri desideri più profondi, delle nostre aspettative, a volte delle nostre paure.
LE 6 LEVE MOTIVAZIONALI
Secondo Eduard Spranger le leve motivazionali sono 6: teorica, utilitaristica, individualistica, estetica, sociale, tradizionale.
La motivazione teorica esprime il desiderio di accrescere le proprie conoscenze e la paura di passare per incompetenti.
La motivazione utilitaristica, il desiderio di ottenere vantaggi concreti e il timore di sprecare risorse.
La motivazione individualistica è alla ricerca di leadership, visibilità, prestigio e teme l’anonimato: essere uno dei tanti.
La motivazione estetica indica il bisogno di armonia a livello relazionale e nelle situazioni di vita, rifugge il conflitto e le situazioni di tensione.
La motivazione sociale incarna il desiderio di essere d’aiuto agli altri e il timore di passare per egoisti e indifferenti.
Infine la motivazione tradizionale esprime il desiderio di coerenza e il timore di non essere nel giusto solco valoriale. Toccare la corretta leva motivazionale è uno dei modi più semplici, e allo stesso tempo potenti, per entrare in sintonia con la “visione del mondo” del nostro interlocutore.
Affinché un feedback possa innescare un processo di cambiamento e crescita, deve andare a toccare le sue leve motivazionali, altrimenti sarà percepito come qualcosa di estraneo o di scarsa importanza.
Philip K. Dick, il famoso autore di romanzi di fantascienza ispiratore di un film cult come Blade Runner, sosteneva che «la realtà è solo un punto di vista, e lo strumento più potente per manipolarla è il controllo delle parole».
Molti studi sulla comunicazione strategica hanno indagato questo aspetto e anche il modello di Spranger, applicato alla comunicazione, può diventare un importante strumento per il nostro lavoro.
Le nostre leve motivazionali, come abbiamo visto, sono intimamente legate ai nostri valori più forti e per ciò siamo abituati a dare per scontato che quello che motiva noi debba motivare anche gli altri – il che non solo non funziona, ma rischia di portarci a commettere clamorosi errori.
Quando comunichiamo a una platea di persone per essere efficaci e far arrivare il messaggio a tutti gli interlocutori, dobbiamo cercare di utilizzare uno spettro piuttosto ampio di leve motivazionali; quando invece siamo di fronte a una singola persona è importante entrare in sintonia con i suoi valori.
La capacità di toccare la giusta leva motivazionale è determinante per riuscire ad aprire porte che altrimenti potrebbero restare inesorabilmente chiuse.
Nella vita privata ci accompagniamo spesso a persone con cui condividiamo motivazioni e valori, mentre nella vita professionale ciò non è quasi mai possibile.
L’unica cosa che possiamo fare è riconoscere e rispettare le leve motivazionali dei nostri interlocutori anche se diverse dalle nostre.
COME RICONOSCERE LE MOTIVAZIONI DEGLI ALTRI?
Una celebre frase di Ludwig Wittgenstein può darci la giusta ispirazione: «I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo».
Costruiamo il nostro vocabolario intorno ai nostri valori; le parole che impieghiamo e che ritornano spesso, come un leitmotiv, nei nostri discorsi, rappresentano un indizio prezioso per comprendere la visione del mondo di chi ci sta di fronte, i suoi valori e desideri, leve che muoveranno la sua motivazione. La competenza chiave da sviluppare è quindi l’ascolto.
Determinante, al riguardo, è il mindset di partenza: per poter sviluppare questa importante competenza dobbiamo essere capaci di risalire alla cornice di riferimento del nostro interlocutore e non dare per scontato che coincida con la nostra. Ascoltare per comprendere a fondo i reali bisogni, le premesse implicite e non dichiarate.
Quando un manager afferma che per lui è importante la crescita professionale, cosa intende? Sta parlando della crescita economica? Di ruolo? Di competenza? Di responsabilità? Per ognuno di noi la parola “crescita” ha un significato evidente, indica una direzione precisa, è fondamentale pertanto riuscire a comprendere cosa rappresenta l’idea di crescita nella visione del mondo del nostro interlocutore.
Lo strumento più utile per scoprire le leve di quest’ultimo sono evidentemente le domande, e in particolare le domande aperte rivolte al futuro: “Che cosa ti aspetti?”, “Come ti vedi fra un anno?”, “Che cosa deve accadere per poter dire ‘ho fatto la scelta giusta’?”.
Le domande, però, sono solo uno strumento, non possono essere il punto di partenza. Il punto di partenza è un atteggiamento esplorativo, una mente curiosa interessata a comprendere il mondo tramite le lenti del proprio interlocutore.
Qualcosa di simile a quanto ha immaginato Marcel Proust prima di scrivere che «Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi».
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