Articolo di Diego Ingrassia – “UNA GUIDA PER REALIZZARE LE NOSTRE POTENZIALITÀ”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Limiti– n. 263, Settembre-Ottobre 2017 – GIUNTI EDITORE
Il punto di partenza di questa riflessione potrebbe sembrare un gioco di parole e invece ci permette di analizzare il fenomeno coaching sotto due differenti prospettive: la lente del coach e quella del coachee, colui che nella dinamica del coaching è il cliente.
Come sappiamo, l’attività di coaching può variare in base ai differenti approcci e ai diversi stili personali, ma un dato sul quale sembrano convergere tutti i professionisti del settore è quello di descrivere il coaching come un efficace processo per liberare potenzialità inespresse o male incanalate.
Il coach, osservando la relazione da questa prospettiva, si presenta come un partner, un professionista esperto che aiuta il cliente a fare chiarezza, con l’obiettivo di mettere a fuoco il percorso più efficace per arrivare al risultato desiderato.
Questa riflessione sembra provenire da molto lontano, da colui che è considerato il padre della scienza moderna.
Galileo Galilei, infatti, affermava: «Non puoi insegnare qualcosa a un uomo, lo puoi solo aiutare a scoprirla dentro di sé».
Il processo di coaching è dunque un processo che nella sua essenza è prettamente cognitivo; attraverso una fase di chiarificazione e di allineamento tra coach e cliente, rispetto a un dato perimetro di azione, si giunge alla definizione di un percorso di apprendimento finalizzato all’acquisizione di nuove competenze, oltre che di rinnovati e più efficaci comportamenti.
Ogni percorso di apprendimento è, in ultima analisi, un percorso di crescita, un susseguirsi di esperienze e talvolta di sfide, atte a fronteggiare un limite, intendendo per “limite” una soglia che, nel qui e ora, rappresenta il confine tra ciò che sappiamo e ciò che non sappiamo, tra ciò che siamo in grado di attuare e ciò che ci blocca, tra il mondo della consapevolezza e quello della inconsapevolezza.
È compito del coach aiutare il cliente a spingersi là dove non immagina di poter andare, a vincere la naturale resistenza al cambiamento mediante una ristrutturazione della percezione del limite. Qualcosa di simile a quanto accade nel mondo dello sport di fronte ad atleti potenzialmente capaci di performance più elevate, ma bloccati psicologicamente.
Quanto più i clienti scalano livelli complessi e più alti nelle loro attività professionali, tanto meno possono limitarsi a dipendere dalla loro competenza tecnico-specialistica.
L’evoluzione dei processi all’interno delle organizzazioni e il continuo mutamento dei contesti e delle dinamiche di relazione generano situazioni di disagio e fatiche che sono percepite come fortemente limitanti rispetto alla propria capacità di azione e di espressione.
A questo punto si rendono necessarie forti competenze relazionali e una buona padronanza della propria sfera emotiva.
Come alcune recenti ricerche internazionali hanno messo in luce, alla base degli insuccessi e dei fallimenti – nel business o nella vita poco importa – si trovano i cosiddetti “fattori di deragliamento”, ovvero dei blocchi individuali, dei limiti personali che nascono sempre da una mancata consapevolezza delle proprie dinamiche emotive e delle loro conseguenze.
Questi fattori limitanti si esprimono nella difficoltà di avere relazioni positive, nella scarsa capacità di gestire emozioni quali per esempio la rabbia, la paura o il disprezzo per ciò che viene percepito come diverso o lontano da sé.
Oppure nei blocchi relativi al processo di decision making o nella problematica legata alla spesso faticosa e difficile relazione con il potere sia esercitato che subito.
Ed è proprio in questi casi che un’adeguata attività di coaching può fornire il contributo migliore.
È noto quanto il contesto di business sia caratterizzato in modo crescente da complessità, incertezza e volatilità: situazioni ad alto indice di stress.
Spesso i clienti riportano situazioni nelle quali un comportamento consolidato e da tempo considerato come punto di forza nell’ambito di specifici contesti, si trasforma, in un arco di tempo molto breve, in causa di numerosi problemi.
È naturale comprendere quanto sia difficile accettare questa situazione e quanto sia importante affrontarla con le massime cura e attenzione.
Quando il cliente ha la consapevolezza di essere di fronte a un proprio limite, ecco che il coach rallenta il passo, assume un ritmo e un tocco trasformativi, un atteggiamento che può essere di grande aiuto non solo per riconoscere il comportamento limitante, ma anche per cercare di comprendere la sua origine, stimolando un processo di autentico rinnovamento personale. Siamo ora di fronte a una fase delicata, in cui le competenze che il coach mette in campo sono molto raffinate, ma anche “di confine”.
Occorre infatti essere capaci di un ascolto profondo e a tutto campo, bisogna essere disponibili a gestire una relazione fortemente empatica che richiede consapevolezza di sé e delle proprie dinamiche interiori.
Ci troviamo evidentemente nei pressi di un territorio appunto di confine, un crocevia importante: la soglia tra il processo di coaching e l’attività terapeutica ci potrebbe infatti apparire come estremamente labile, ma è proprio nella capacità di distinzione che il limite diviene una risorsa che spazza via la possibile confusione e permette al coach di esprimere al meglio la sua competenza evitando di abbandonare l’alveo naturale della sua attività.
Com’è risaputo, la filosofia e i principi del coaching descrivono una pratica che parte da un’attenta analisi della situazione presente, rende chiaro il traguardo auspicato e, tramite un lavoro di aumento della consapevolezza e di responsabilizzazione del cliente, avvicina il più possibile al raggiungimento della situazione desiderata.
Si tratta quindi di mobilitare le risorse della persona per raggiungere l’obiettivo in maniera efficace: un progetto che riguarda il mondo personale o professionale del cliente in una logica di proiezione verso il futuro, trascurando intenzionalmente lo sguardo retrospettivo.
Tutto ciò significa che, qualora il processo di coaching metta in luce dinamiche più profonde e il reiterarsi, ossia l’aggravarsi, dei comportamenti disfunzionali, per il coach diventa importante fermarsi e fare una riflessione.
In sintesi, in questi casi è bene chiedersi se non si sia raggiunto il limite di questa specifica attività e non sia quindi necessario coinvolgere altre figure professionali, per loro natura meglio attrezzate per gestire tali situazioni.
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