“IL BRUCO E LA FARFALLA” di Diego Ingrassia e Massimo Berlingozzi
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Cambiamento – n. 259, Gennaio–Febbraio 2017 – GIUNTI EDITORE
La resistenza al cambiamento è un fenomeno assai comune e, entro certi limiti, del tutto normale; è importante, tuttavia, comprenderne pienamente il senso.
La prima risposta ci arriva dalla biologia: i sistemi viventi hanno bisogno di creare una loro organizzazione interna indipendentemente dalle perturbazioni ambientali.
Questo meccanismo, che prende il nome di “omeostasi”, ci permette di dialogare con l’ambiente mantenendo stabile l’equilibrio interno.
Ma cosa accade quando l’equilibrio interno si rivela non più funzionale a richieste di cambiamento più forti, o del tutto inaspettate, provenienti dall’ambiente?
È proprio in questi casi che la resistenza al cambiamento si manifesta attraverso comportamenti inefficaci e soluzioni paradossali.
Il principale obiettivo di tale irrigidimento è il tentativo di mantenere inalterate le strategie di risposta consolidate, anche se ormai apertamente disfunzionali.
Per quale ragione accade tutto ciò? Le ragioni sono molteplici: dall’obiettivo di risparmiare energia alla ricerca della soluzione apparentemente più semplice, per arrivare al rifiuto di modificare schemi, modelli e organizzazioni intimamente legati all’identità del soggetto in questione.
Queste considerazioni sono applicabili indifferentemente a esseri umani, gruppi, organizzazioni, sistemi complessi in genere. Il campionario di esempi sarebbe vastissimo, ma è necessario compiere un altro passo per cercare di essere più precisi.
ERRORI E COMPORTAMENTI STEREOTIPATI
Potremmo riassumere il fenomeno della resistenza al cambiamento come il tentativo di applicare la medesima soluzione nonostante le circostanze esterne siano drasticamente mutate.
Ma in verità si cerca quasi sempre di fare qualcosa in più, e l’espressione “in più”, in tal caso, è quanto mai adeguata.
Quando la gestione del cambiamento diventa critica, infatti, non assistiamo solo a una sostanziale incapacità di “mutare schema” alla ricerca di possibili alternative; la resistenza si manifesta anche con il tentativo, del tutto sterile – se non ulteriormente aggravante –, di affrontare il problema mediante un aumento della forza che viene applicata alle vecchie soluzioni.
Chi studia il cambiamento sintetizza questo concetto con l’espressione “maggior dose dello stesso rimedio”, ma oltre una certa misura non è possibile continuare ad aumentare le dosi, pena il procurare danni maggiori.
Questo concetto si applica benissimo anche al mondo delle organizzazioni, dei gruppi e delle aziende, dove, a fronte di cambiamenti ormai inevitabili, non sempre maggiori mezzi, più persone e più soldi garantiscono buoni risultati; quando addirittura non preludono a clamorosi fallimenti.
Mutare schema, osservare le cose da un nuovo punto di vista, cambiare paradigma, sembra essere la vera difficoltà: io ti parlo e tu non mi capisci, lo ripeto ma ancora non comprendi quanto ti voglio dire, allora inizio ad alzare la voce, e poi urlo e mi agito, ma il risultato non cambia (“maggior dose dello stesso rimedio”).
Le piccole esperienze di ogni giorno e i grandi sistemi si legano mirabilmente nel trasmetterci questa amara verità.
STRATEGIE D’INTERVENTO
Abbiamo imparato che il cambiamento è un fenomeno complesso e delicato nel medesimo tempo, che la resistenza al cambiamento ha un significato molto umano, che questo fenomeno non si può aggredire con la forza.
Il cambiamento resiste agli incrementi quantitativi, ci chiede di generare una qualità diversa.
Il vero processo di cambiamento è determinato da un “salto logico”, dalla capacità di osservare il medesimo problema da una prospettiva inedita, da un punto di vista differente.
Il salto “a gambero” di Dick Fosbury (cioè lo stile dorsale, innovativo rispetto al tradizionale stile ventrale) alle Olimpiadi di Città del Messico nel 1968 è una meravigliosa sintesi di quello che stiamo raccontando.
Ora, però, è d’obbligo porsi una domanda: dobbiamo rassegnarci a soluzioni geniali ma estemporanee, oppure è possibile costruire un modello pratico d’intervento? La natura di per sé dinamica del cambiamento è tale da rendere assai difficile la possibilità di concepire un “metodo” in grado di affrontare qualunque situazione.
Tuttavia è possibile identificare con precisione alcuni importanti passaggi capaci di creare le giuste premesse per la costruzione di un’efficace strategia d’intervento.
Proveremo a procedere in tal senso, approfondendo alcuni concetti fondamentali.
Consapevolezza: apparentemente ovvio, ma in realtà nient’affatto scontato, un buon livello di consapevolezza è un elemento fondamentale per poter gestire opportunamente il processo di cambiamento. La prima difficoltà risiede in una corretta e lucida visione del problema, finalizzata a identificare con precisione e concretezza la posizione attuale e i passi necessari da intraprendere per attuare il cambiamento stesso. A questa prima analisi, che potremmo definire abbastanza razionale, segue un percorso di consapevolezza teso a comprendere le resistenze che si sono manifestate, o che siamo in grado di prevedere, insieme alle eventuali tentate (e fallite) soluzioni. A questo punto è facile comprendere (e l’esperienza ce lo conferma ulteriormente) che alcuni di questi passi rendono spesso indispensabile un aiuto esterno: coach, terapeuta, consulente, ecc., in relazione ai diversi contesti immaginabili.
Motivazione: una piena e sincera motivazione è il carburante indispensabile per affrontare un viaggio che in alcuni casi può rivelarsi lungo e faticoso. L’errore maggiormente commesso in questi casi è pensare di poter imporre il cambiamento. Senso, libertà e responsabilità sono le parole che dovrebbero guidare la ricerca di una vera motivazione. Nessuno può sostituirsi a noi nel costruire la motivazione necessaria, per questa ragione è importante che il significato del nostro impegno non ci venga imposto. Ognuno deve ricercare il valore e il significato delle proprie azioni in piena libertà, attraverso una consapevole assunzione di responsabilità.
Riferimenti bibliografici
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