Una fotografia del presente, per delineare il futuro delle aziende.
Una ricerca condotta Josh Bersin dalla società Deloitte – società di consulenza leader nel campo delle Risorse Umane – ha messo in luce come nel 2014 la spesa complessiva degli Stati Uniti per la formazione aziendale sia aumentata del 10% rispetto all’anno precedente, attestandosi a una cifra pari a circa 75 miliardi di dollari (si pensi che, nel 2014, nel mondo, si ritiene siano stati spesi in totale oltre 140 miliardi di dollari: gli USA, in sostanza, sono il paese che più ha investito in formazione applicabile al mondo del business). Secondo gli autori, questo trend positivo dura da ben cinque anni, con costanti incrementi medi del 10% di anno in anno.
Josh Bersin spiega come l’ammontare degli investimenti profusi nell’ambito della formazione aziendale siano un buon termometro della attività economica: quando le società rallentano, spesso le spese per la formazione vengono tagliate, e non appena il business torna a crescere, si reinveste nella formazione delle risorse, sia per quanto attiene l’ambito commerciale, sia nello sviluppo del top e middle management.
L’investire nella formazione è quindi un riflesso del benessere di un’azienda: ne mostra l’atteggiamento proattivo e la voglia di innovare, la capacità di distinguersi con fermezza nel mercato globale.
Questa sembrerebbe essere una notizia confortante. Ma esiste un “Tallone d’Achille”, un punto debole, che va tenuto in seria considerazione.
Una ricerca condotta da Eduardo Salas, professore di psicologia e program director dell’Istitute for Simulation & Training presso la University of Central Florida, ha scoperto che grossomodo il 90% delle nuove competenze acquisite durante i training possono essere quasi completamente dimenticate dai partecipanti entro un anno dalla formazione, a meno che non vengano effettuati training di follow-up specifici e di verifica, a ricapitolazione delle tematiche trattate e corredati da test di valutazione che misurino quanto appreso e ricordato.
Sempre secondo Prof. Sales, apparentemente, quello che succede prima e dopo un corso di formazione risulta quindi cruciale tanto quanto l’effettivo apprendimento.
La maggior parte delle società presumono erroneamente che se un lavoratore non qualificato si sottopone a formazione, immediatamente possa essere “trasformato” in un lavoratore abile, solerte ed esperto fin da subito. Ma spesso è invece la metodologia di training che fa la differenza, abbinata, ovviamente, alla motivazione ad apprendere e a mettersi in gioco del partecipante.
Verificare l’apprendimento dopo la fase di training è un indispensabile vantaggio: a tutela dei risultati, controllare se i contenuti appresi dai dipendenti si trasformino in reali competenze- che si mantengono o sviluppino nel tempo- è fondamentale.
Quali sono le metodologie formative più efficaci, e a quanto ammontano gli investimenti effettuati dalle aziende italiane per sviluppare le proprie risorse?
Una ricerca condotta da ASFOR nel 2015 (XI ricerca ASFOR sulla Domanda di Formazione Manageriale) evidenzia come le aziende presenti in Italia seguano percorsi a due velocità per quanto riguarda l’investimento nella formazione, a seconda del mercato in cui operano: “…le imprese focalizzate sul mercato interno faticano a mantenere invariate le risorse destinate alla formazione…c’è invece una tipologia di aziende che ha incrementato gli investimenti. Queste imprese hanno due caratteristiche comuni: sono impegnate nei processi di riposizionamento competitivo nei mercati globali e stanno implementando un rapido percorso di crescita in cui cambiamento, internazionalizzazione e innovazione sono integrati tra loro.”
Uno studio longitudinale condotto da ISTAT (periodo preso in considerazione: dal 2005 al 2010) e pubblicato il 1 agosto 2013 evidenzia un paradosso tra opinioni dei Top Manager italiani rispetto all’utilità riconosciuta alla formazione e il reale investimento profuso per la formazione aziendale stessa: le aziende ricercano training di qualità, specie per quanto attiene le competenze emozionali e relazionali, e ne riconoscono i benefici in termini di risultati concreti; ma per converso, un buon 44,1% delle stesse aziende evita di fare formazione ai propri dipendenti, poiché li ritiene già sufficientemente qualificati (almeno l’82,6% di queste aziende), oppure ricerca dipendenti già formati in precedenza e altrove da assumere (lo dichiara il 28% del campione). Ecco i dati emersi dallo studio:
A complicare le cose, da un rapporto del World Economic Forum 2016 – che esamina la strategia per l’occupazione, le competenze e la forza lavoro per il futuro – emerge che in cinque anni da oggi, più di un terzo delle competenze (ben il 35%) che sono considerate importanti nella forza lavoro di oggi saranno oggetto di cambiamento, ovvero ritenute secondarie:
Fonte: Osservatorio ExpoTraining
Come si può quindi rispondere alle nuove esigenze che possono emergere dal mercato globale, se si decide di disinvestire nella formazione e nell’aggiornamento continuo dei lavoratori?
Se si aggiungono i dati inerenti l’oblio mnemonico fisiologico che accade a seguito dell’apprendimento (evidenziato dalla ricerca del Prof. Eduardo Salas descritta in precedenza), come è possibile infine verificare che quanto appreso in precedenza non venga dimenticato dai dipendenti, e come possono essi stessi fronteggiare le nuove richieste indispensabili nel business del futuro, se non ricevono supporto e appoggio da parte delle aziende?
Occorre quindi modificare la Cultura della formazione, attingendo da metodologie che facciano capo a studi e ricerche nell’ambito della psicologia dell’apprendimento e dello sviluppo, al fine di massimizzare i risultati e contenere i costi collaterali per le aziende.
Ottimizzare è importante, ma solo se è accompagnato dal puntare sulla qualità: i risultati di una buona formazione impattano infatti in maniera marcata sui risultati di un’azienda.
Scegliere il quindi quali competenze sviluppare e la più efficace metodologia di training, è un investimento che ripaga sempre.
Cosa ricercano le più grandi aziende multinazionali quando scelgono di investire nella formazione?
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