La compassione è definita come la capacità di riconoscere la sofferenza altrui insieme al desiderio di fare qualcosa per alleviarla. Posare lo sguardo sull’altro è il primo passo. L’attenzione, così come la comprensione empatica, sono componenti determinanti. A differenza dell’empatia però, che implica la capacità di condividere i sentimenti che prova l’altra persona, la compassione include un elemento di azione. Eve Ekman, ricercatrice esperta di emozioni, ha svolto numerosi studi sulla compassione e sottolinea come la spinta ad agire sia l’elemento distintivo. Una formula riassuntiva per spiegare al meglio questa attitudine è: compassione = empatia + azione.
Quando un collega sta attraversando un momento difficile, andargli incontro con compassione può rinforzare la relazione. Con molta probabilità quell’episodio rimarrà impresso nella mente dell’altra persona, la quale sarà portata a sua volta a supportarci quando ne avremo bisogno. Creare ambienti lavorativi orientati alla compassione non è solo una questione di benessere individuale, rappresenta per le organizzazioni una scelta specifica per valorizzare i rapporti umani in un’epoca caratterizzata da cambiamenti e incertezze. Negli Stati Uniti molte aziende, a partire da colossi come Google e Saleforce, hanno iniziato a riconoscere l’importanza della compassione come valore aziendale. Ognuno di noi, infatti, quando si reca al lavoro porta con sé i propri vissuti, le emozioni, i litigi e le incomprensioni che attraversano ogni vita. Non è detto che sia necessario condividere le proprie frustrazioni e sofferenze con i colleghi, ma se i confini personali e lavorativi tendono a intrecciarsi, è importante riconoscere che la compassione può rappresentare un elemento strategico per creare più coesione sul luogo di lavoro.
La compassione non è solo una “soft skill”, ma un’abilità cruciale per il successo in un contesto lavorativo sempre più complesso e interconnesso. Le aziende che investono nella formazione alla compassione sono motivate a costruire ambienti di lavoro dove le persone si sentano valorizzate e comprese. Bastano anche solo cinque minuti di attenzione, durante l’intera giornata, per sentirsi riconosciuti e compresi a livello emotivo. Condizione che rinforza il senso di sicurezza psicologica, e aiuta ad esprimersi senza temere il giudizio. Questi programmi non solo insegnano tecniche di ascolto attivo e supporto emotivo, concorrono anche a promuovere il cambiamento culturale che incoraggia l’accettazione della propria vulnerabilità e l’autenticità. Mostrare le proprie debolezze favorisce l’inclusione e ci permette di valorizzare la differenza invece di eliminarla. Tuttavia, per facilitare questo passaggio, è essenziale che la leadership si impegni attivamente per promuovere atteggiamenti compassionevoli.
Testo di Diego Ingrassia
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