Pensate a quante volte, esausti dopo l’ennesima giornata di lavoro, ci siamo detti: “Devo imparare a dire di no” o “Devo gestire meglio il mio tempo”. Come se le pratiche legate al miglioramento del benessere personale fossero l’unico modo per ridurre lo stress. Troppo spesso si parla di burn-out come un fenomeno individuale che colpisce le persone che hanno difficoltà a gestire il carico di lavoro, perché questo supera le capacità del singolo di far fronte alle richieste. Tendiamo spesso a colpevolizzare noi stessi per non essere abbastanza produttivi o resilienti, quando in realtà il problema affonda le sue radici nel contesto organizzativo in cui siamo immersi. Se una persona arriva a essere esausta a livello emotivo, cinica e distacca rispetto al proprio lavoro, la spiegazione risiede solo in parte nella risposta individuale allo stress. Molto più verosimilmente la sindrome da burn-out è da considerare sintomo di un sistema complesso organizzato intorno a scadenze calzanti e ritmi sempre più insostenibili. Quante persone per tenere il passo ed evitare di perdersi informazioni importanti lavorano oltre l’orario prestabilito o anche di domenica? Ormai sta diventando la norma.
Le aziende tendono a massimizzare il profitto e gli ultimi cambiamenti seguono la logica dell’efficientismo. Pensate per esempio a come la digitalizzazione e l’iper-connessione hanno eroso i confini tra la vita privata e professionale, rendendo quasi impossibile staccare veramente la spina. Questi non sono semplici fattori esterni, ma ingranaggi di un sistema di cui facciamo parte e che inevitabilmente ci influenza. La Teoria dei Sistemi di L. Von Bertalanffy ci insegna che non possiamo considerarci entità isolate e svincolate dal contesto, ma piuttosto parte integrante di un ecosistema fatto di organizzazioni, relazioni e dinamiche che plasmano il nostro benessere e la nostra produttività. Se vogliamo prevenire il dilagare del burn-out e andare verso una tipologia di lavoro che non consuma ma ci nutre è importante adottare un approccio sistemico. Questo significa da un lato continuare a diffondere misure proattive a beneficio dei singoli dipendenti e dall’altro riprogettare il sistema organizzativo alla radice.
Quali policy, quali procedure, quali pratiche, possono essere modificate per rendere l’ambiente lavorativo più sostenibile? A questo si aggiunge l’importanza della raccolta e valutazione dei dati per aiutare a misurare il miglioramento personale al netto del cambiamento delle condizioni del contesto. E in questo i leader rivestono un ruolo chiave. Solo affrontando il fenomeno del burn-out come una sfida collettiva potremo davvero arginarla, restituendo a noi stessi e al nostro lavoro il valore e il significato che meritano.
Testo di Diego Ingrassia
Il tuo carrello è vuoto.