Il concetto di lavoro ibrido, anche se a molti non piace, è la definizione che meglio riassume la condizione attuale di milioni di lavoratori. Al di là di più precise distinzioni, ha il merito di fotografare alcuni cambiamenti, occorsi in un tempo molto breve, che appaiono ormai irreversibili
Sono passati quattro anni da quel 9 marzo del 2020 che tutti ricordiamo come l’inizio del lockdown. Difficile trovare paragoni, almeno nella storia recente, di un mutamento così ampio e pervasivo avvenuto in un tempo tanto breve.
L’impatto che questo ha avuto sul mondo del lavoro è noto, ma i dati dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ci restituiscono l’esatta misura di questo fenomeno: 570.000 lavoratori in smart working nel nostro Paese prima della pandemia, un picco di 6,5 milioni raggiunto nel 2020 e una cifra attuale stimata in circa 3,6 milioni.
Sappiamo tutti che in moltissimi di questi casi sarebbe più corretto parlare di lavoro “in remoto”, ma tali cifre ci aiutano a connettere un’esperienza individuale che più o meno tutti noi abbiamo conosciuto a un fenomeno sociale molto vasto riassumibile come “la nascita del lavoro ibrido”. Qualche esempio?
Nel 2024 quasi nessuno sale più su un aereo, su un treno o si mette in viaggio con la propria auto per partecipare a una riunione gestibile online su una delle numerose piattaforme a disposizione. Oppure pensiamo al mondo della scuola, per molti versi più tradizionale, dove decine di migliaia di in- segnanti non si muovono più da casa per partecipare a consigli di classe o collegi docenti.
IL CONSOLIDARSI DEL MODELLO DI LAVORO IBRIDO: LA SITUAZIONE OGGI
Il modo in cui questo scenario si è andato consolidando è probabilmente il dato più interessante su cui riflettere prima di passare a un’analisi sul terreno delle competenze. Sorprende, ad esempio, l’atteggiamento di alcune aziende poco disposte a concedere anche solo un paio di giornate al mese di smart working (peraltro spesso in- teso come strumento di welfare) che, di fronte ai buoni e forse inaspettati livelli di produttività e ai risparmi di costi, hanno cambiato completamente direzione.
Molto più immediata e diretta è stata invece l’adesione della maggior parte dei lavoratori, che hanno colto in questa modalità di lavoro più libero alcuni degli innegabili benefici e delle comodità del “lavoro da casa”. C’è poi da rilevare, come testimoniano i numeri odierni, un cospicuo numero di aziende che ha preferito tornare alle forme tradizionali dell’organizzazione.
In sintesi, il quadro che si presenta oggi ci appare polarizzato e poco maturo, come rileva anche l’Osservatorio, diviso tra chi ha preferito ristabilire il più possibile l’organizzazione tradizionale e adesioni massicce alla dimensione “agile” del lavoro che lasciano intravedere il rischio di scelte opportunistiche, e quindi poco consapevoli, da parte sia delle aziende che dei lavoratori.
in uno scenario così polarizzato, si comprende quanto sia stata debole la riflessione sull’insieme di competenze da sviluppare per affrontare in modo efficace tale nuova dimensione del lavoro. Ma proprio il percorso appena descritto può aiutarci a delineare gli aspetti principali su cui si dovranno concentrare gli interventi formativi finalizzati a migliorare i livelli di consapevolezza e le competenze distintive al riguardo.
I processi di trasformazione cui stiamo assistendo lasciano intravedere la possibilità di realizzare una dimensione del lavoro molto più capace di tutelare la libertà individuale: maggiore autonomia personale, flessibilità organizzativa, minore controllo e pressione sul proprio lavoro, sono alcuni degli aspetti maggiormente apprezzati da chi ha potuto sperimentare queste nuove forme.
Sono evidentemente caratteristiche che dovranno essere compensate da doti di self-management, auto-organizzazione, autonomia decisionale, capacità di definire un contesto, orientamento agli obiettivi, e una forte responsabilizzazione sui propri risultati. Dovranno poi essere ripensati i classici concetti di delega e controllo e, per chi continuerà ad avere responsabilità di guida in una situazione ibrida, sarà fondamentale riflettere su cosa accade alle persone, alle loro relazioni, ai processi identitari e al senso di appartenenza, quando si riduce drasticamente lo spazio e il tempo condiviso, evitando l’errore di attribuire il medesimo significato al tempo e allo “spazio” mediato dagli strumenti digitali.
Lo scenario è tutt’altro che stabile, ma dobbiamo prendere atto che qualcosa è mutato per sempre, e che abbiamo abbandonato molte delle antiche sicurezze.
Da questo punto di vista la formazione rappresenta, in quanto luogo di confronto e dialogo, una grande opportunità per progettare e costruire percorsi capaci di affrontare efficacemente questi nuovi scenari.
Testo di Massimo Berlingozzi
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