Articolo online Mondo Formazione di Massimo Berlingozzi, Aprile 2023: https://www.hbritalia.it/mondo-formazione/2023/04/12/news/formazione-chatgpt-e-i-luddisti-del-terzo-millennio-15498/
Può sembrare qualcosa di molto lontano rievocare una vicenda che abbiamo studiato sui banchi di scuola – il movimento operaio di protesta che distruggeva i telai meccanici accusati di essere una minaccia per la sopravvivenza del lavoro – con la moratoria di sei mesi richiesta da più di mille firmatari allo sviluppo di ChatGPT, l’ormai famosa intelligenza artificiale di OpenAI progettata per rispondere a domande mediante la produzione di testi in modo colloquiale. In realtà una sottile linea rossa lega quell’antica protesta con l’odierna richiesta di stop allo sviluppo di ChatGPT, non solo per preoccupazioni simili legate al futuro del lavoro, ma proprio perché dalle schede perforate dei telai Jacquard nacque la macchina analitica di Charles Babbage riconosciuta come antesignana degli odierni computer.
Ma qui la similitudine tra le due storie si ferma, perché ChatGPT non si limita a minacciare i posti di lavoro attualmente occupati da lavoratori in carne e ossa, inquieta e spaventa perché domina il linguaggio che è la massima espressione della nostra intelligenza, e già fa impazzire i docenti delle università di mezzo mondo di fronte a studenti in grado di sfornare saggi ben scritti in un batter d’occhio. E allora che fare, vietare o governare questo strumento? Di fronte a una tale paura solo un’attenta riflessione può aiutarci a fare alcune essenziali distinzioni.
Primo punto: alcuni timori sono sicuramente legittimi, ma non sarà certo una moratoria di sei mesi ad arrestare il progresso della tecnica; alcuni dei più grandi filosofi del ‘900 ce l’hanno insegnato: ciò che è possibile la tecnica prima o poi lo realizza. La tecnica è una forma particolare di razionalità tipica della modernità, non più limitata a quello che siamo soliti chiamare occidente del mondo, per cui è di fatto praticamente impossibile pensare di controllare quello che avviene nelle migliaia di centri di ricerca o anche semplici startup della tecnologia sparse ai quattro angoli del globo. Ma andando oltre considerazioni di ordine generale riguardo agli sviluppi del pensiero tecnico-scientifico, è necessario tornare a chiedersi cosa spaventa in particolare di ChatGPT, e la risposta non può che riguardare la sua capacità di dare risposte articolate, complesse, sintatticamente corrette, all’interno di una conversazione, come, anzi meglio di quanto molti di noi sarebbero capaci di fare.
La paura, e insieme la fortissima attrazione, che si genera nello specchiarsi in una intelligenza apparentemente simile alla nostra: è probabilmente questa la principale chiave di lettura per comprendere alcune delle motivazioni che hanno prodotto, almeno in una parte dei firmatari, la richiesta di moratoria. Appello che vede peraltro curiosamente coinvolti personaggi direttamente legati allo sviluppo e al finanziamento di questo strumento, tanto da chiedersi se non si tratti, in questo caso, di una sottile strategia di marketing. In realtà non vi è nessuna intelligenza simile alla nostra di cui preoccuparsi ma, per quanto questo aspetto dovrebbe essere ormai totalmente chiaro, per qualche strana ragione molti preferiscono continuare a crogiolarsi con questo fantasioso inganno.
Il risultato che ChatGPT restituisce alle nostre domande è realmente straordinario, ma dietro a quelle parole non vi è nessuna comprensione, nessuna consapevolezza, solo una enorme elaborazione di calcolo statistico capace di aggregare correlazioni di senso in un mare sterminato di informazioni con cui quella macchina è stata istruita. Dentro la macchina è buio, come afferma con una efficace metafora Federico Faggin che quelle macchine ha progettato e costruito. Questo è il punto fondamentale che, per quanto noto, dovrebbe essere continuamente ripetuto e insegnato nelle scuole a generazioni di bambini che con queste macchine dovranno saper lavorare avendo consapevolezza di quale dovrà essere il loro ruolo. L’aspetto fondante di una epistemologia che dovrà guidare i saperi del futuro, e qui entra in gioco la formazione. Se non si comprende che la profonda e radicale differenza tra l’elaborazione del pensiero umano e l’apparente elaborazione di pensiero della macchina sta tutta nel processo che lo ha generato, siamo perduti. Perché è dentro al processo di costruzione del pensiero che risiede tutta la qualità umana, la nostra storia, la nostra cultura, tutto il nostro cammino evolutivo. Se non saremo capaci di valorizzare questo, cominceremo presto ad assomigliare alle macchine, faremo addestramento e non più formazione che da sempre è il luogo dove poter esercitare il pensiero critico per lo sviluppo delle conoscenze e della nostra consapevolezza.
Tutto questo, in fondo, era già contenuto nelle intuizioni di alcuni grandi del pensiero molto prima che queste preoccupazioni fossero all’ordine del giorno. Thomas Eliot scrive in una sua poesia del 1934: “Dov’è la saggezza che abbiamo perduto nella conoscenza, dov’è la conoscenza che abbiamo perduto dell’informazione”, è facile allora tornare a ChatGPT e rilevare una immensa quantità di informazioni senza nessuna comprensione e quindi conoscenza, nessuna saggezza per mancanza di un’etica capace di interrogarsi sul senso del proprio agire. E infine Albert Einstein che affermava: “Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno”. Mai come oggi è diventato importante saper porre le giuste domande.
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