Articolo di Massimo Berlingozzi – HBR numero Giugno 2022 “Cinque generazioni al lavoro”
La quantità di definizioni relative alla leadership, Joseph Rost ne cita 221(1991), non ha probabilmente eguali nella letteratura del settore. Un tale proliferare di definizioni ha sicuramente più di una spiegazione: la mutevolezza intrinseca di un concetto profondamente legato all’evoluzione sociale, ai modelli educativi di riferimento e, di conseguenza, ai significati diversi attribuiti all’idea stessa di autorevolezza. Il limite dovuto ai tentativi di oggettivare una funzione che si genera in un processo di relazione, per sua natura quindi inevitabilmente intersoggettivo, infine il rischio di cristallizzare questa capacità nella descrizione delle caratteristiche ideali di una persona particolarmente carismatica.
Tornando quindi agli innumerevoli tentativi di dare una spiegazione esaustiva, verrebbe voglia di affermare, parafrasando le parole di Lao Tzu sul Tao: “la leadership che può essere definita non è la vera leadership”. Eppure, il tentativo di attribuire, attraverso un nuovo concetto, la caratteristica vincente della “leadership del momento” si riaffaccia sempre, in particolare nei periodi di crisi, quando grandi cambiamenti si profilano all’orizzonte. I due anni di crisi pandemica hanno generato la figura del “leader gentile”: un leader empatico, capace di ascolto e di manifestare emozioni con i propri collaboratori, con l’obiettivo di creare un maggiore coinvolgimento.
Non vi è nulla di sbagliato, sia chiaro, nel richiamarsi a queste qualità, che in fondo non fanno altro che ricordare l’importanza, evidenziata ormai da diversi anni, della competenza relazionale. L’unico dubbio riguarda l’approccio un po’ superficiale che a volte traspare nei numerosi articoli comparsi sull’argomento. Probabilmente questo atteggiamento riguarda, in particolar modo, la stampa non specializzata, ma certe descrizioni risuonano un po’ come le indicazioni che gli stilisti di moda, di anno in anno, impartivano a chi voleva essere sempre in linea con la tendenza del momento. Se la gentilezza non è mai stata un tratto distintivo delle nostre organizzazioni, non possiamo sperare che da domani ogni manager si “rivesta” di un’impeccabile gentilezza così come si fa, appunto, con un nuovo abito. E la speranza non è una strategia. Ma c’è un pericolo maggiore, il rischio di assumere, per quanto mossi da buone intenzioni, un atteggiamento “seduttivo”, nel tentativo di ritornare attrattivi di fronte a una schiera sempre più ampia di lavoratori che mostrano disagi e insofferenza nei confronti del modello tradizionale di organizzazione del lavoro.
Se il problema riguarda il cambio dei valori che le persone attribuiscono al lavoro, la comparsa di nuovi bisogni e l’affermarsi di differenti stili di vita, la ricerca di risposte adeguate dev’essere un processo più articolato e profondo, teso in prima istanza a comprendere quali siano le ragioni alla base di scelte di vita (ad esempio il fenomeno delle grandi dimissioni) apparentemente incomprensibili alla luce dei vecchi valori. Per questa ragione l’infinito e sterile dibattito, su chi sia o no un leader, esploso di recente dopo il perentorio appello di Elon Musk ai suoi dipendenti di tornare in ufficio, appare quantomai sottodimensionato di fronte alle reali esigenze di risposte efficaci.
Quello a cui stiamo assistendo è l’affermarsi di una nuova etica del lavoro, forse è ancora presto per trarre delle conclusioni, ma quando le persone, toccate nelle loro vite, appaiono disposte a scelte radicali nella ricerca di una prospettiva migliore, ci sono i presupposti per prendere l’intera questione molto seriamente. Il tema della leadership assume a questo punto una dimensione diversa. Ogni persona chiamata a ricoprire un ruolo di responsabilità dev’essere capace di attrezzarsi, almeno a livello di pensiero, per rispondere a queste nuove esigenze. La leadership non è il dono “dell’unto del signore” di turno, non è un abito diverso da indossare secondo l’esigenza del momento, è un principio di autorevolezza a cui si dovrebbe ispirare chiunque si trovi a ricoprire un ruolo di responsabilità, e ognuno di noi è diverso per cui l’obiettivo è comune ma le soluzioni adottate possono e devono essere diverse. Così come sarebbe auspicabile pensare a una leadership diffusa tra le persone che danno vita a un’organizzazione, forse l’unica modalità per rendere sostenibile una risorsa che ha spesso danneggiato le relazioni e consumato le persone, con lo stesso sguardo che cominciamo ad applicare alle risorse ambientali. Distinzione che riguarda solo le parole che convenzionalmente usiamo, perché persone, relazioni e cose appartengono al medesimo ambiente in cui tutti viviamo.
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