Nell’attuale panorama aziendale si sente spesso parlare di “Business Agility” come se fosse l’unico faro guida per le organizzazioni che desiderano prosperare. La flessibilità è celebrata come la panacea per affrontare le sfide di un mondo in continua evoluzione, dove le aziende devono adattarsi rapidamente alle nuove esigenze del mercato e alle innovazioni tecnologiche. In questo contesto diventa fondamentale interrogarsi se questa incessante ricerca di agilità rappresenti davvero la soluzione ideale o se, al contrario, possa condurre a una deriva pericolosa.
L’agilità aziendale, per sua natura, implica un ridisegno costante dei metodi, delle strutture e delle strategie. Ciò si traduce in un’abilità di adattamento che consente alle aziende di rispondere tempestivamente alle opportunità e alle minacce. Tuttavia, questa incessante trasformazione può portare a una perdita di identità e a una frammentazione delle competenze distintive di ogni impresa. Qualche anno fa Jeff Bezos fece una osservazione interessante, mettendo in luce come spesso le persone si rivolgono a lui con la curiosità di capire che cosa cambierà nei prossimi dieci anni, non centrando, secondo lui, il cuore della questione. L’aspetto cruciale, afferma, è: “cosa non cambierà nei prossimi dieci anni” Questa è la domanda, spesso ignorata, che permette di identificare i “pilastri” del nostro operato e quindi gli elementi su cui possiamo costruire una strategia aziendale solida e sostenibile.
In un contesto di Business Agility la libertà e la flessibilità si accompagnano spesso al rischio di una “connessione continua”. La tecnologia può diventare una lama a doppio taglio: se da un lato offre opportunità di comunicazione e collaborazione illimitate, dall’altro crea una pressione costante per essere sempre disponibili. L’idea di un “diritto alla disconnessione” si fa sempre più urgente. È cruciale valutare quali aspetti del lavoro possano essere resi agili e quali, invece, richiedano di un approccio più tradizionale. Non è sempre necessario sottoporre contesti e processi lavorativi all’inevitabile corsa verso l’agilità, anche perché flessibilità e velocità nei cambiamenti possono portare a una dispersione di risorse. Le aziende che cercano di adattarsi a ogni cambiamento percepito rischiano di perdere di vista la loro identità. In un contesto eccessivamente volatile spesso risultano vincenti le aziende che ancorano le loro strategie a fattori duraturi e stabili. Questo approccio, che potremmo definire “costanza strategica”, permette di costruire una base solida su cui edificare il cambiamento.
La costanza strategica non implica una staticità, ma piuttosto un equilibrio dinamico tra adattamento e stabilità. Le aziende che si concentrano su ciò che non cambia sono in grado di sviluppare una sorta di “stella polare” che guida le loro decisioni e le loro iniziative nel lungo termine. Questo approccio incoraggia la pianificazione strategica, piuttosto che un reattivo “day by day” che rischia invece di portare a decisioni affrettate e poco ponderate. Questo elemento di stabilità riguarda ovviamente anche l’impegno e il coinvolgimento delle persone e quindi la gestione dei collaboratori. È essenziale trovare un equilibrio che permetta alle persone di sentirsi valorizzate, dal momento che forniscono un contributo determinante per il raggiungimento dei risultati, all’interno di una struttura d’intervento che consenta a chi è responsabile del progetto di non perdere di vista la sua visione. La flessibilità del lavoro agile deve essere bilanciata con la necessità di stabilire confini chiari.
In conclusione, l’agilità aziendale è senza dubbio un concetto che ha guadagnato terreno nel dibattito contemporaneo, ma le aziende che riescono a integrare la flessibilità con una visione strategica a lungo termine, ancorata a valori e competenze durature, saranno quelle che prospereranno nel lungo periodo. Così come il protagonista di “The Pursuit of Happiness” ci insegna a perseguire i nostri sogni con tenacia, anche nel business è vitale mantenere una rotta fissa mentre si naviga in tempi di incertezza.
Testo di Diego Ingrassia
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