Cordusio, Cairoli, Cadorna. Le fermate della linea rossa di Milano si susseguono, ma gli occhi rimangono incollati allo schermo. “Quanto tempo ci vorrà prima che rialzi lo sguardo?” mi chiedo. Gente risucchiata dal virtuale, immersa tra notifiche, chat e reel di ogni tipo, osservata da fuori sembra vivere in un eco-sistema parallelo.
Aumentano le ore che si passano davanti allo schermo e diminuisce l’età con la quale si inizia a navigare su Internet. I social media dominano ogni istante della nostra vita e mentre solchiamo grandi palinsesti dell’intrattenimento e dell’informazione abbiamo la percezione di essere liberi.
Una libertà illusoria?
Oggi 6 febbraio si celebra il Safer Internet Day, un’occasione per promuovere la riflessione sulla consapevolezza e l’uso sicuro del digitale. Un occhio attento avrà di certo notato come il calendario delle giornate di sensibilizzazione si infittisce con il passare degli anni. Ci sono eventi per ogni cosa, però questa giornata, forse, vale la pena citarla.
Cyberbullismo, informazioni private condivise senza permesso, stalking, challenge virali e pericolose, sono solo alcuni dei rischi che si insidiano nel mondo dei social network e che minano la nostra salute mentale e fisica.
L’AI aumenta la superficie d’attacco con notizie fake e chatbot compromessi, per non parlare del problema legato all’apparenza e al desiderio di essere riconosciuti anche solo per 5 minuti.
Ragazzi che sognano di essere sotto i riflettori, come gli influencer che popolano i social media, e che, in maniera più o meno consapevole, aderiscono ai meccanismi attuali di potere, garantendo il funzionamento di questa scintillante, e allo stesso tempo tenebrosa, macchina produttiva.
Il filosofo coreano Byung Chul Han nei suoi libri parla di “frastuono”, di ”povertà di sguardo”, di “dispersione generale”, dove la riflessione viene silenziata, così come le differenze. L’algoritmo studia le nostre preferenze e ci fa incontrare i nostri simili. Senza accorgercene ci ritroviamo dentro una “filter bubble” dove ci auto-alimentiamo con chi la vede esattamente come noi.
Educare ad un uso consapevole dei social media, imparando a districarsi tra i vari linguaggi e interpretare in maniera critica i messaggi è un modo per “scoppiare la bolla” e evitare di cadere nella dipendenza e nei problemi identitari che ne possono derivare.
Persino l’algido Mark Zuckerberg, qualche settimana fa, si è dovuto scusare al Congresso del Senato sui rischi delle piattaforme social.
Una regolamentazione è necessaria, e lo sa anche lui.
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