È interessante tuttavia notare che il bisogno di osservare e comprendere la prestazione lavorativa, al di là della sua componente tecnico-specialistica, nasce e si sviluppa in una fase in cui la crescente complessità del mondo del lavoro manda in crisi la vecchia “cultura del compito”, perfettamente capace di descrivere, attraverso ampi e dettagliati mansionari, che cosa una persona “deve fare” sul posto di lavoro. Improvvisamente è sembrato chiaro che i migliori performer riuscivano a ottenere i loro risultati attraverso alti livelli di discrezionalità, e tutto questo i vecchi mansionari non erano più in grado di descriverlo.
Il “fattore umano” era diventato un elemento imprescindibile; da qui l’esigenza di sviluppare modelli e metodi capaci di comprenderlo.
Questa consapevolezza, insieme alle sempre più numerose ricerche a sostegno di tali orientamenti, hanno creato nel tempo una lenta ma significativa inversione di tendenza. Nello scenario attuale, di fronte all’imponente e improvviso mutamento causato dalla crisi pandemica, flessibilità e capacità discrezionali s’impongono nuovamente come doti indispensabili per interpretare al meglio un mondo del lavoro che cambia. Ciò che in modo preordinato si “doveva fare” lascia spazio a un meno definito “cosa si può fare”, guidati da nuove competenze, consapevoli di aver ormai abbandonato le antiche certezze del “posto di lavoro”, inteso come un luogo fisico stabile di riferimento, e di un “tempo di lavoro”, non più scandito da quella netta distinzione che a lungo aveva caratterizzato le nostre vite. Un quadro, quello appena descritto, che contrariamente a quanto si potrebbe pensare rende ancora più importante la sfera delle soft skill, e in particolare quegli aspetti riconducibili alle competenze emotive, vera risorsa strategica per gestire al meglio il suddetto “fattore umano”, una componente vitale troppo spesso lasciata al buon senso e alla soggettività dei singoli.
La minore possibilità di gestire le dinamiche di relazione nella loro sede naturale, lo spazio fisico, impone la capacità di farlo utilizzando le moderne tecnologie di comunicazione e questo richiede maggiore attenzione e competenza: il gesto istintivo dev’essere sostituito dalla parola consapevole. È necessario quindi riuscire a valorizzare queste competenze in un’ottica organizzativa, dedicando particolare attenzione ai processi di selezione, all’identificazione dei talenti, e alla costruzione di precisi percorsi di formazione per la gestione dei collaboratori.
Tutti sappiamo quanto sia importante riuscire a trovare le persone giuste, e sappiamo anche quanto sia complicato, nei tempi spesso limitati, capire chi abbiamo di fronte. Situazione oggi resa più complessa a causa delle innumerevoli informazioni reperibili in rete all’interno dei vari social network. Questo dato impone una seria riflessione su un’attività molto più esposta che in passato al rischio di una valutazione fuorviante per la presenza di informazioni che potrebbero discostarsi notevolmente dalla realtà.
Il fattore legato alla desiderabilità sociale, sempre in agguato in qualunque forma di autopresentazione, trova infatti uno spazio particolarmente ampio e completamente nuovo all’interno di questi strumenti di comunicazione. Rischi che si aggiungono ai più tradizionali errori alimentati dall’intuizione del momento e a tutte le distorsioni determinate da un eccesso di soggettività nelle decisioni legate a processi valutativi, quasi sempre ai nostri bias cognitivi. Contrastare questi rischi è possibile, a partire dall’impegno per sviluppare adeguate competenze in chi ha la responsabilità di gestire collaboratori e svolgere attività di valutazione.
In particolare, deve migliorare la capacità di osservazione e la sensibilità degli operatori del settore per poter estendere l’indagine alla sfera delle emozioni e delle motivazioni. Valorizzare quindi, nella gestione dei colloqui, quegli aspetti legati all’intelligenza emotiva che svolgono un ruolo determinante nell’equilibrio del processo valutativo. L’Analisi Emotivo Comportamentale, che deriva dagli studi sulle emozioni, rappresenta una metodologia scientifica a sostegno di questo compito impegnativo. Si tratta di uno strumento di osservazione molto efficace che permette di cogliere importanti segnali correlati alle emozioni e di verificarli all’istante attraverso domande mirate.
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