Ma la storia non procede mai in modo uniforme e pochi eventi, come quelli che stiamo attualmente vivendo, avrebbero potuto farcelo capire meglio. Ciò che è accaduto è noto: in un tempo decisamente molto breve un numero enorme di persone si è trovata a lavorare da casa, lontano dalle sedi tradizionali di lavoro. Sono molti ad aver giustamente criticato l’utilizzo del termine “smart working”, che non è per forza legato all’idea di spazio e distanza, ma che si riferisce invece alla possibilità di lavorare in autonomia e piena responsabilità accettando di farsi misurare sui risultati.
I numeri, tuttavia, sono impressionanti: siamo passati da poco più di mezzo milione di smart worker a toccare punte di oltre 6 milioni e, secondo alcune analisi, come quella dell’Osservatorio smart working del Politecnico di Milano, 5 milioni di lavoratori continueranno a operare in questo modo, per almeno tre giorni alla settimana, nel post pandemia. Un cambiamento di tali proporzioni ha generato a cascata imponenti effetti di tipo economico e sociale. Nello stesso tempo, ha aperto un acceso dibattito, tuttora in corso, su come sarà organizzato e gestito il lavoro nel prossimo futuro. I recenti pronunciamenti di alcuni giganti dell’hi-tech sulla necessità di tornare al lavoro in ufficio hanno dato fiato agli scettici del lavoro agile; sull’altra sponda c’è invece chi vede in questo atteggiamento un’incapacità di comprendere i profondi mutamenti in atto nel mondo del lavoro che il Covid ha solamente accelerato.
Ha davvero poco senso trasformare questo dibattito in una disputa tra tifosi; forse è molto meglio chiedersi se da questo gigantesco esperimento sociale abbiamo imparato qualcosa. La classica distinzione tra efficienza ed efficacia può aiutarci. Aver compreso che è perfettamente possibile svolgere molte riunioni di lavoro senza far viaggiare per ore le persone o che alcune attività possono essere realizzate molto bene senza recarsi in ufficio genera consistenti risparmi da molti punti di vista e produce effetti positivi in termini di qualità di vita. Sul fronte dell’efficacia, tuttavia, ci si è accorti che è molto difficile raggiungere la medesima qualità in attività che attingono dalla piena dinamica di relazione il loro massimo valore: in particolar modo, il lavoro creativo e tutte le situazioni in qualche modo legate ai processi di cambiamento. Ed è proprio su questo ultimo punto che vorremmo concentrarci, per mettere l’accento su un aspetto a nostro avviso molto importante. Basterebbe infatti immaginarsi un futuro ibrido (come probabilmente accadrà), che vedrà il ritorno alle sedi tradizionali di lavoro, ma nello stesso tempo molte persone impegnate per una parte consistente del loro tempo in situazioni di vero smart working, per descrivere uno scenario completamente diverso che richiederà lo sviluppo di specifiche competenze.
Per molti manager già oggi, ma sempre di più in futuro, sarà necessario assumere piena consapevolezza dei cambiamenti in atto e comprendere come far evolvere il proprio stile di leadership. Dare maggiore autonomia e delegare responsabilità ai propri collaboratori, chiamati a rispondere per i risultati e non per la presenza, perdere per larga parte del tempo la possibilità del controllo diretto, mantenendo vivo nello stesso tempo il legame di appartenenza e la qualità della relazione, è una sfida su cui si giocherà molta della loro efficacia in futuro. Quanto sia difficile abbandonare le vecchie abitudini e realizzare un vero salto culturale lo si evince da molti segnali. Uno, in particolare, rivela in modo molto esplicito la natura del problema: il consistente aumento nelle vendite di software per il controllo dei lavoratori in remoto. Dato che fa emergere con grande chiarezza l’aspetto più importante su cui sarà necessario lavorare: aiutare i manager a sviluppare uno stile di leadership fondato su maggiore autonomia e fiducia.
La nostra esperienza ci ha insegnato che la competenza emotiva può giocare un ruolo determinante in questo passaggio. Capire che si può attingere a un’idea diversa della forza, che si può raggiungere una maggiore autorevolezza accettando la propria vulnerabilità e che non è possibile costruire rapporti di vera fiducia senza mettersi in gioco a questo livello, è un cambiamento che diventa possibile solo sviluppando un’adeguata consapevolezza emotiva. Ascoltare e comprendere le emozioni ci aiuta a osservare con lenti completamente diverse il nostro mondo interiore e quello che ci circonda, espande la nostra consapevolezza e migliora la nostra capacità di agire efficacemente in una gamma sempre più ampia di situazioni.
Da anni lo studio delle emozioni ci ha confermato che tali cambiamenti sono possibili e che attraverso di essi, lentamente, comincia a cambiare una cultura che aveva sempre valutato in modo negativo le emozioni in quanto espressione di debolezza. La natura, invece, non ha mai temuto la delicatezza, l’apparente fragilità, il cedere anziché resistere, considerando queste manifestazioni un lato diverso della forza, spesso una strategia più intelligente. Idea che nasce da una maggiore consapevolezza e maturità, come ci ricorda, con elegante semplicità, un antico proverbio coreano: “Lo stelo del grano si piega quando è maturo”.
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