Il 9 dicembre la rivista Nature ha pubblicato una ricerca, rilanciata da molti quotidiani, dal titolo: “Le cose create dall’uomo superano tutta la vita sulla Terra”. Lo studio spiega come la totalità delle opere costruite dall’uomo, strade, dighe, edifici ecc. abbia superato nel 2020 l’intera biomassa. Per la precisione: 1.100 miliardi di tonnellate di materia costruita dall’uomo contro i 1.000 di massa vivente, l’insieme del regno vegetale e di quello animale dai batteri alle balene. Nel 1900, quando il regno vivente assommava a 1.900 miliardi di tonnellate, le cose costruite dall’uomo rappresentavano solo il 3% della biomassa totale del pianeta.
È un’immagine, al di là del dato, fortemente simbolica, capace di accendere la mente di un bambino. Un modo molto efficace per spiegare l’idea di sviluppo sostenibile, definizione apparsa ufficialmente per la prima volta nel 1987 in un documento della Commissione Mondiale per l’Ambiente, e allora definita come “lo sviluppo che soddisfa le necessità del presente, senza compromettere la capacità delle prossime generazioni di fare lo stesso”. Un’idea di sostenibilità che vede i sistemi ambientali, economici e sociali profondamente interconnessi. Se pensiamo a una risorsa indispensabile come l’acqua non è difficile cogliere questo legame, eppure, mentre il dibattito sulla crisi climatica e sulle questioni economiche ha guadagnato spesso le prime pagine dei giornali, la riflessione sulle implicazioni sociali è rimasta sempre al margine, come recentemente confermato da un report del Parlamento Europeo.
Sono molte le ragioni che possono spiegare questo sbilanciamento, non ultima una maggiore consuetudine a tradurre in cifre i problemi ambientali ed economici, ma è proprio al concetto di sostenibilità sociale che dobbiamo guardare se vogliamo definire cos’è una “leadership sostenibile”. Non è difficile, infatti, individuare nei criteri di benessere individuale, equità, uguaglianza dei diritti, coesione e inclusione, solitamente menzionati nei documenti che si occupano di sostenibilità sociale, inevitabili analogie con temi riguardanti la vita delle aziende e del mondo del lavoro in genere. Un esempio molto chiaro per la sua immediata traduzione in cifre è quello relativo alle disparità in fatto di retribuzione: se nel mondo d’oggi può sembrare utopistica la regola morale di Adriano Olivetti che sosteneva che nessun dirigente, neanche il più alto in grado, doveva guadagnare più di dieci volte l’ammontare del salario minimo, è difficile però immaginare come sostenibile un rapporto che in molti casi è di centinaia di volte maggiore. Un’analoga e doverosa riflessione andrebbe fatta rispetto alle ancora imponenti differenze salariali tra uomini e donne.
“Mai sprecare una crisi”
Il dibattito attorno all’idea di una leadership sostenibile è abbastanza recente, e nasce sicuramente in sintonia con una rinnovata sensibilità ecologica che vede un numero sempre maggiore di persone, organizzazioni e istituzioni impegnate nella costruzione di un futuro sostenibile. Ma ora, di fronte a una crisi sanitaria che ha messo in luce la fragilità di un sistema incapace di rallentare senza infliggersi ferite difficili da rimarginare, quest’idea si configura come un’opportunità da non perdere.
“Mai sprecare una crisi” è una frase pronunciata da Rahm Emanuel, consigliere di Barak Obama in occasione della crisi finanziaria del 2008. L’attuale emergenza pandemica verrà sicuramente ricordata per l’enorme sacrificio di vite umane, ma lo sarà anche per gli straordinari cambiamenti generati nel mondo del lavoro. L’osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano stima in più di 5 milioni i lavoratori che continueranno a operare a distanza a fine pandemia. Non si tratta solamente di un numero ma di una svolta epocale, che trasforma, dissolvendoli in larga parte, gli ancoraggi alla dimensione fisica del lavoro, quelli riferibili ai concetti di spazio, di tempo e velocità, praticamente immutati dall’inizio della rivoluzione industriale. Tutto questo richiede una trasformazione culturale che non può non investire il concetto di leadership, chiuso da sempre in una visione che ha puntato a restringere questa competenza alle sole posizioni apicali. Un’idea troppo selettiva, tesa a cercare di oggettivare questa dimensione nelle caratteristiche ideali del leader. Proviamo allora a indicare brevemente alcuni principi guida che dovrebbero orientare una leadership sostenibile:
Responsabilità: l’idea di leadership sostenibile vive all’interno di un contesto di responsabilità diffusa, un’etica della responsabilità in grado di permeare l’insieme dell’organizzazione attraverso pratiche coerenti in fatto di comunicazione.
Pensiero Sistemico: un pensiero complesso capace d’interrogarsi sulle conseguenze nel tempo all’interno di un sistema più ampio: non sempre una soluzione efficace per raggiungere un certo risultato è buona se minaccia l’equilibrio futuro.
Cooperazione vs competizione: abbandonare la logica del “io vinco tu perdi” per abbracciare la “dimensione negoziale”, consapevoli dei vincoli di interdipendenza presenti in una più ampia rete di relazioni.
Autonomia individuale: favorire la possibilità di mettersi in gioco a tutti i livelli: tutti dovrebbero sentirsi liberi di esprimersi, di avere un ruolo e di vedere il loro contributo riconosciuto nell’ambito dei valori condivisi dall’organizzazione.
Coesione sociale: cultura orientata alla diversità e all’inclusione.
Transitorietà: la leadership sostenibile è un valore che, nella giusta misura, dovrebbe essere esteso a tutta l’organizzazione, ma chi si trova a operare in posizioni di maggiore responsabilità, coerentemente con il concetto di sostenibilità, dovrebbe essere consapevole dell’aspetto transitorio del proprio ruolo.
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