L’epocale trasformazione alla quale stiamo assistendo, che ha visto nella globalizzazione e nei processi di innovazione tecnologica i grandi motori di una rivoluzione dai contorni molto spesso imprevisti e imprevedibili, di cui la pandemia Covid-19 non è che l’ultimo in ordine di tempo, non ci esime più da una seria riflessione su quello che dovrebbe essere il nuovo e vero “mandato” per gli HR manager. È di pochi giorni fa l’ultimo report dell’Osservatorio sullo smart working del Politecnico di Milano, che stima in 5,35 milioni i lavoratori che continueranno a operare in remoto anche quando l’emergenza sarà finita. Prima della pandemia erano 570mila. Siamo di fronte a una straordinaria trasformazione che in condizioni normali avrebbe richiesto molti anni prima di realizzarsi. La quantità di cambiamenti a livello tecnologico, logistico, organizzativo, sociale, e le ricadute su altre categorie di lavoro inevitabilmente coinvolte, non è ancora possibile calcolarla.
Non è difficile invece immaginare l’enorme mole di lavoro che attende chi, nell’ambito della gestione delle risorse umane, dovrà occuparsi di un mutamento di proporzioni davvero storiche, capace di generare effetti organizzativi, psicologici e culturali. È il mondo “VUCA” bellezza! Potremmo rispondere così, rievocando un acronimo coniato negli anni ’70 capace di prevedere, almeno a livello di scenario, il mondo cui stavamo andando incontro: Volatile; Incerto; Complesso; Ambiguo. Una tale visione ci mette di fronte alla necessità di eccellenza organizzativa per la sopravvivenza. Gli sforzi per ottenere questa eccellenza, che passa attraverso la capacità di apprendere, di ripensarsi, di cambiare, di fare sistema, non sono guidati solamente da ciò che l’organizzazione fa e da come lo fa, ma anche e soprattutto da come sceglie, sviluppa e gestisce le persone. Tutto questo appartiene al mondo HR, ora più che mai.
Sono vicina a questo mondo ormai da qualche decennio, ci ho vissuto, mi sono sempre sentita e ancora oggi mi sento un “HR manager”; ebbene, questa necessità di cambiamento è stata identificata qualche anno fa. Già allora si auspicava un’evoluzione, una trasformazione che potesse favorire una partnership reale con la direzione aziendale, attraverso il ripensamento e la riconfigurazione del ruolo.
Un disegno orientato ad affrancare la funzione dal mero ruolo amministrativo e di presidio legale- contrattuale, per proiettarla, in chiave strategica, a tutela dei valori aziendali nell’impegno per il raggiungimento degli obiettivi, nel presente, ma soprattutto nel futuro. Senza persone, nessuna organizzazione può funzionare, pertanto l’urgenza consiste nell’investire, nel farsi paladini dell’aumento della capacità di apprendere, di cambiare, di gestire le differenze, la complessità e l’ambiguità. Mi piace pensare al ruolo dell’HR come a una sorta di architetto, che partecipa al disegno della strategia, che la sostiene e che ne garantisce la messa a terra. Crescita e profittabilità, evoluzione della tecnologia, gestione dell’Intellectual Capital, innovazione e cambiamento continuo non sono che alcune delle sfide che le organizzazioni dovranno affrontare.
La domanda che sorge è: come mai non è così? Cosa rende difficile ancor oggi questo passaggio? È una domanda su cui personalmente ho riflettuto molto.
Un dilemma quasi amletico, che potremmo semplificare con: fare HR o essere un HR? La realtà è che si tratta di un mestiere complesso e difficile, perché è necessario imparare a integrare gli opposti, lo yin e lo yang, essere consapevoli che l’intero, la completezza, si ottiene integrando la regola e la visione, il presente e il futuro. Due anime che devono obbligatoriamente dialogare per poter generare sinergie capaci di far sì che risultati e valori coabitino in un’unica sintesi. Questa danza degli opposti, peraltro, appartiene alla quotidianità di questo ruolo. Gli HR manager sanno infatti molto bene che prendersi cura delle persone significa ricercare il contatto e l’empatia anche quando l’insieme delle regole vigenti sembrerebbe non lasciare spazio all’intelligenza emotiva e alle sue competenze. Ingredienti capaci di garantire il successo, mantenendo al tempo stesso saldo il timone della nave anche quando attorno imperversa la tempesta.
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