Diego Ingrassia è CEO della I&G Management, unica società in Italia accreditata dallo psicologo statunitense Paul Ekman, in prima linea negli studi più attuali sull’intelligenza emotiva e sulla comunicazione non verbale. Diego, esperto di comunicazione ed emozioni, si occupa di formazione manageriale e di assessment, svolgendo ruolo di consulenza per le più grandi multinazionali dal 2003.
Diego, la tua esperienza sulle emozioni è molto ampia. Ti porto allora in un ambiente che io frequento quotidianamente e forse tu meno, la scuola, proprio perché lo sguardo esterno di un professionista, consulente e coach per grandi multinazionali può essere particolarmente prezioso anche per chi spende la propria professionalità nel contesto scolastico.
La scuola è da sempre considerata in primis il luogo degli apprendimenti, della ragione, della conoscenza, della costruzione dei saperi. È però anche un ambiente di crescita dove i bambini si misurano con il variegato mondo delle loro storie interiori e con le tante relazioni che sono chiamati a vivere in questo particolare contesto collettivo.
La dimensione emotiva – spesso presa in considerazione dai professionisti della scuola per lo più quando si lavora sulla motivazione o su come rendere più efficace i percorsi di apprendimento – è invece protagonista dello stare a scuola dei bambini e delle bambine. A volte ce ne accorgiamo quando le emozioni entrano in classe in modo “dirompente”, e diventano ostacolo agli apprendimenti.
Come vedi, Diego, il ruolo del docente quando le emozioni “irrompono”, gridate o a volte anche violente in classe?
Credo ci sia un vizio di forma nel pensare che si possa agire quando le situazioni emotive si fanno così intense e disfunzionali. Situazioni “esplosive”, che sono ormai fuori controllo. Esiste un periodo, definito refrattario, durante il quale non è possibile intervenire. In questa fase il bambino che urla, o che mette in atto comportamenti violenti, è impermeabile ad altri stimoli, incapace di ascolto e attenzione, completamente immerso nella sua emozione. A scuola, come in molti altri ambienti, ci si limita in genere a cercare di arginare le conseguenze, ma questo comportamento tardivo risulta sempre poco efficace. In questo modo non si lavora sulla disfunzionalità dei comportamenti. Il vizio di forma è dunque la pretesa di voler lavorare sulle emozioni quando il soggetto coinvolto si trova in una situazione di “sequestro emotivo”, mentre le emozioni vanno intercettate e comprese prima.
Procedendo con ordine, possiamo imparare a cogliere il processo nel suo manifestarsi lungo una linea temporale, come risposta a una “scintilla” che lo genera, sia essa uno stimolo dell’ambiente esterno o generata da una condizione interna.
Come possiamo invece lavorare quotidianamente sulle emozioni a scuola?
Il lavoro importante è quello dell’osservazione, che ci permette di riconoscere i canali comunicativi non verbali e verbali e lavorare strategicamente sulle emozioni. Questo tipo di consapevolezza ci permettere di cogliere l’insorgere di un’emozione da piccoli segnali premonitori. Un buon professionista delle relazioni riconosce quindi l’emozione e opera di conseguenza, cercando prima di tutto di “dilatare il tempo” entro il quale essa si alimenta e mettere in atto le opportune strategie per lavorare nella direzione di una gestione positiva della relazione.
Un passaggio importante è però anche quello di leggere correttamente le emozioni che si stanno manifestando. Comunemente osserviamo i nostri interlocutori nelle loro diverse forme comunicative, dall’espressione facciale, alla voce, alla postura del corpo, al linguaggio verbale, allo stile verbale, ma non sempre abbiamo gli elementi corretti per comprendere ciò che stiamo osservando.
Una volta osservate le emozioni in circolo nelle persone con cui ci relazioniamo, per poterle gestire – soprattutto se abbiamo un ruolo educativo – da dove cominciare?
Tutti siamo sempre in cerca delle strategie per gestire le emozioni altrui, ed effettivamente ci sono strategie studiate che si rivelano più o meno efficaci con le diverse emozioni. Ma per lavorare in modo efficace con le emozioni altrui dobbiamo prima di tutto riconoscere, conoscere e lavorare con le nostre emozioni. Spesso non siamo consapevoli di alcune nostre emozioni o non le comprendiamo. Prima di tutto occorre lavorare sulla consapevolezza delle proprie emozioni e imparare a interagire in modo utile con queste. Solo successivamente potremo aiutare altre persone nella gestione di emozioni che si manifestano in modo disfunzionale.
Non basta però avere una buona competenza di osservazione delle emozioni. Potrei infatti essere un buon osservatore ma poi commettere il tipico “errore di Otello”, cioè quello di procedere attraverso presupposti personali e leggere in modo distorto la comunicazione delle emozioni altrui. Otello è l’emblema di questa lettura errata: egli infatti riconosce bene la paura di Desdemona, ma poiché nella sua visione della realtà teme un tradimento, interpreta quella paura come la paura di chi non vuole essere scoperto, mentre Desdemona ha solo paura di non essere creduta.
Occorre allora saper fare le domande giuste, entrando in relazione con gli alunni, chiedendo loro il significato di determinati comportamenti. Solo all’interno di questo processo – nel dialogo – si attivano strategie generative e si costruisce una relazione che attiva realmente processi di cambiamento.
Che consiglio daresti a un nuovo docente che si avventura per la prima volta nel mondo complesso della vita scolastica?
Sembra una battuta ma gli consiglierei di studiare, perché spesso si arriva a lavorare a scuola dopo lauree che preparano meticolosamente alla disciplina specifica, ma poco alla comprensione della nostra grammatica emotiva. E per tutti, insegnanti e allievi, è fondamentale sviluppare empatia.
In Danimarca per esempio è in atto un progetto di educazione sociale, Klaessens tid, che prevede settimanalmente un’ora di educazione emotiva, un vero e proprio percorso-laboratorio verso la capacità di riconoscere le emozioni e sviluppare empatia. Gli alunni dai 6 anni in su imparano a raccontarsi e condividere i propri vissuti e le proprie fatiche, mentre condividono con il gruppo semplici attività pratiche, come fare una torta al cioccolato (non a caso, il cioccolato è un antidepressivo naturale).
Un’ultima domanda, Diego. Quanto le emozioni – se gestite in modo efficace – concorrono ad aprire maggiormente le persone agli apprendimenti e alle competenze necessarie per il mondo complesso in cui viviamo?
Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce, è un celebre aforisma di Blaise Pascal che riassume mirabilmente il ruolo e l’importanza della competenza emotiva con tre secoli di anticipo rispetto alle conoscenze di cui stiamo parlando in questa conversazione. Alla fine, è proprio nella sintesi tra cuore e ragione che risiede il valore più profondo dell’intelligenza umana. La scuola deve lavorare su entrambi gli aspetti in modo equilibrato per promuovere percorsi di apprendimento che davvero concorrano alla crescita e alla maturazione personale.