Articolo a cura di Diego Ingrassia e Massimo Berlingozzi – ESTE
È interessante rileggere oggi gli innumerevoli articoli pubblicati nel 2018 che ricordavano, a distanza di 100 anni, la pandemia Spagnola che nel biennio 1918-19 provocò milioni di morti. Molti di quegli articoli affermavano che ora le cose sarebbero andate molto diversamente, grazie ai progressi della medicina, alle capacità di risposta a livello organizzativo del sistema sanitario e per via delle migliori condizioni igienico sanitarie della popolazione.
A due mesi dall’inizio della pandemia Covid-19, possiamo dire che, per quanto i numeri dei malati e dei decessi sia impressionante, la situazione non è minimamente paragonabile a quella di 100 anni fa. Ma non si può affermare la medesima cosa per quanto riguarda la capacità di risposta del sistema sanitario, gestito solo grazie all’ammirevole dedizione di medici e infermieri, che hanno pagato a caro prezzo l’inadeguatezza delle strutture e dell’organizzazione nella fase più acuta dell’emergenza.
Ciò che, però, sorprende maggiormente di questa crisi è l’enorme difficoltà ad accettare la realtà che si andava manifestando (il fenomeno ha riguardato praticamente tutti i Paesi coinvolti). Nonostante i dati molto chiari che arrivavano dalle zone dove il virus si era già diffuso su larga scala, chi aveva la responsabilità di assumere decisioni – che erano chiaramente inevitabili – ha cercato di prendere tempo, di ritardare i provvedimenti più severi, aumentando di fatto il numero dei malati e delle perdite. È importante chiedersi perché è accaduto. Non è facile trovare una risposta chiara e risolutiva a questa domanda. Certo non possiamo dimenticare il timore, da più parti manifestato, del grande danno economico che avrebbe provocato l’interruzione delle attività produttive, ma ciò non spiega la forte e generalizzata resistenza ad accettare la realtà. Per trovare una risposta dobbiamo cercare di comprendere la “tempesta emotiva”, come qualcuno l’ha efficacemente definita, che ha colpito un’intera popolazione che, dall’oggi al domani, ha dovuto accettare di vivere in una sorta di grande esperimento sociale, di fatto un mondo diverso.
Vediamo se un semplice esempio può esserci d’aiuto. Chi si trovasse nella savana africana, impegnato in un safari fotografico, e s’imbattesse in un leone affamato, non otterrebbe nessun vantaggio dal messaggio “andrà tutto bene!”. Il protagonista di questa vicenda metterà invece in atto, in poche frazioni di secondo, i comportamenti necessari per mettersi in salvo. Potrebbe anche meravigliarsi nell’ascoltare, da chi lo osserva, con quale velocità sia riuscito a farsi capire dai compagni di viaggio e a risalire al sicuro sulla jeep. Nulla di strano in tutto questo: la paura ha svolto in modo perfetto il suo compito, mettendo in moto meccanismi straordinariamente efficaci, perfezionati in milioni di anni di evoluzione.
Ma cosa accade quando l’oggetto della nostra paura non ha un volto, un’identità, un nome, una spiegazione? In origine era Coronavirus, poi sono comparsi Sars-Cov-2 e Covid-19, e nella confusione pochi hanno compreso che il primo codice definisce il virus, mentre il secondo la malattia. Nei primi giorni si è parlato di epidemia, poi l’Organizzazione mondiale della sanità l’ha definita ufficialmente come pandemia. Qualche specialista ha affermato che fosse poco più pericolosa di un’influenza e che si stavano inutilmente spaventando le persone; poi lo scenario, drammaticamente, è cambiato.
I contagiati sono stati migliaia e poi milioni. E ancora: colpisce solo gli anziani, oppure no; le mascherine servono, le mascherine non servono; basta un metro di distanza, no non è sufficiente, ecc. La tempesta emotiva a questo punto sarebbe meglio definirla come un ‘cocktail impazzito’ di emozioni, in assenza di un oggetto definito capace di generare una risposta efficace e coerente.
Queste considerazioni non sono solo mere impressioni: oggi abbiamo a disposizione strumenti capaci di monitorare non solo i numeri dei contagi, ma anche le emozioni che questi numeri mettono in gioco. Sono state recentemente pubblicate alcune ricerche orientate a cercare di comprendere le emozioni vissute dalle persone nel corso di questa crisi, mediante l’uso di strumenti innovativi.
Uno studio, in particolare, condotto da Sociometrica avvalendosi di Expert System, un’azienda che si occupa di analisi semantica, permette di cogliere l’evoluzione del sentimento degli italiani attraverso la raccolta e la classificazione in tempo reale dell’enorme flusso di comunicazione presente sui social media.
I grafici pubblicati risultano immediatamente esplicativi, assegnando un’area dimensionale a ognuna delle 80 emozioni che è possibile analizzare con lo strumento.
Il quadro che emerge dalla ricerca descrive una situazione caratterizzata, nella fase iniziale, da ansia e angoscia di fronte alla diffusa incertezza. L’ansia poi è andata gradualmente riducendosi man mano che il fenomeno assumeva contorni più definiti, per lasciare spazio alla paura nei confronti di una minaccia che cominciava a essere meglio conosciuta attraverso le informazioni che venivano via via pubblicate. La paura è stata spesso accompagnata da comprensibili sentimenti di sofferenza e tristezza, con l’aggravarsi della situazione e delle perdite. Un sentimento di accettazione, tuttavia, è sempre stato presente, anche di fronte alle notizie più gravi, per lasciare spazio, quindi, durante la seconda settimana di monitoraggio, alla speranza e all’empatia verso le persone più coinvolte dal fenomeno.
L’insieme dello scenario rappresentato ci aiuta a definire meglio cosa intendiamo per gestione delle emozioni. Torniamo per un attimo insieme al protagonista del nostro esempio, che s’imbatte nel leone nella savana, e accantoniamo la rapidissima sequenza di comportamenti automatici messi in atto per salvarsi. Se lo osserviamo ora all’interno della jeep mentre riprende fiato, ripensa a quanto accaduto, ascolta l’attuale stato d’animo, si chiede come si comporterebbe in futuro e che cosa ha imparato su di sé e sulla situazione vissuta, ci avviciniamo a quell’insieme di esperienze e conoscenze che sono alla base della capacità di gestire le emozioni.
Il valore della sicurezza nella società moderna ha reso le nostre vite libere da molte minacce che quotidianamente assillavano i nostri antenati; in compenso il nostro stile di vita ci espone a situazioni sociali molto più articolate e complesse. Al di là dei comportamenti automatici, gestire le emozioni significa dunque essere capaci di mettere in atto strategie adeguate al contesto in cui viviamo. Un’intelligenza che non può prescindere da una consapevolezza fondata sulla capacità di riconoscere le proprie e le altrui emozioni, individuare le cause scatenanti, analizzare il contesto, comprendere i valori e i significati che entrano in gioco. Operazioni che richiedono la ricerca di un equilibrio tra ragione e sentimenti.
Se analizziamo gli eventi degli ultimi due mesi alla luce di queste considerazioni, ci appare evidente l’importanza di poter accedere a corrette informazioni efficacemente comunicate, così come è facile rendersi conto del grande valore sociale rappresentato da un’adeguata educazione emotiva che dovrebbe essere prevista come insegnamento fondamentale nelle scuole.
Non deve meravigliare allora, in assenza di questi elementi, la grande resistenza nell’accettare la realtà che si stava prospettando, oppure il tentativo di scaricare su un nemico esterno (all’inizio la Cina) una paura che non sapevamo dove indirizzare, così come il messaggio “andrà tutto bene”, o le canzoni dai balconi (iniziative umanamente comprensibili, mosse da buoni sentimenti, ma di fatto unicamente consolatorie). A uno sguardo più lucido appare chiara la natura irrazionale e poco efficace di queste risposte. Tentativi di rimozione, caccia all’untore o piacevoli regressioni non aiutano ad affrontare il problema.
Le paure che non trovano spiegazioni abitano luoghi remoti e sconosciuti e da quell’oscurità prendono forza. Il primo obiettivo, dunque, è conoscerle e portarle alla luce, perché il peggior rimedio alla paura è rappresentato dal tentativo di nascondersi. In questo caso la nostra immaginazione continuerà a ingigantire i fantasmi costruiti dalla nostra mente.
Quello che stiamo vivendo nell’emergenza coronavirus è un inimmaginabile enorme esperimento, che ha messo in isolamento più di 2 miliardi di persone nel mondo. La scienza medica moderna si trova a lottare contro una minaccia antica quanto la nostra civiltà. Le tecnologie di cui disponiamo, come abbiamo visto, sono oggi capaci di indagare quello che avviene nel profondo dell’animo umano. La gestione delle emozioni è una risorsa importante a nostra disposizione, ma impone come prima mossa una piena assunzione di responsabilità, solo attraverso questa consapevolezza potremo ritrovare il nostro equilibrio di fronte alle minacce che provengono dall’ambiente.
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