Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “GESTIONE DELLE EMOZIONI: LA TRISTEZZA”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Fine Vita – n. 275, Settembre-Ottobre 2019 – GIUNTI EDITORE
È IMPORTANTE PRESTARE ASCOLTO ALLA PERSONA TRISTE, RISPETTANDO LA MANIFESTAZIONE DEL SUO STATO D’ANIMO E ACCOGLIENDOLA NELLA SUA RICHIESTA D’AIUTO
“Achille, Agamennone, Odisseo, Ettore, gli eroi leggendari che hanno combattuto le battaglie più dure e vinto i nemici più agguerriti, non temono di mostrarsi in lacrime. Per disperazione, dolore, rabbia, amore, nostalgia, essi piangono a viso aperto. Senza risparmiarsi. Senza mai provare vergogna.” Sono parole tratte da Le lacrime degli eroi di Matteo Nucci, un interessante saggio che ci spiega come per Platone, quattro secoli prima dell’era cristiana, quelle lacrime erano ormai perdute: “i nuovi tempi non ammettevano più l’idea di un eroe coraggioso, a tal punto da non vergognarsi del volto bagnato di pianto. Chi piangeva non poteva essere considerato uomo. Non poteva avere coraggio, perché non dimostrava forza d’animo”.
Riconoscere in queste parole l’origine di un percorso che da quei tempi lontanissimi arriva fino ai giorni nostri, è fin troppo facile. Oggi, come nei dialoghi di Platone, non possiamo concedere agli “eroi” dei nostri tempi: manager, politici, campioni dello sport, uomini di successo, di “sciogliere” la loro immagine nell’emozione di un pianto. L’immagine del “vincente” non è mai triste, non ammette debolezze. Ce lo hanno insegnato fin da bambini: piangere è cosa per donnicciole.
Nella nostra società la tristezza è stata espulsa da qualsiasi discorso pubblico e privato, osteggiata in quanto segnale di rassegnazione e debolezza. Lo sforzo quotidiano che ogni genitore svolge consiste nell’allontanare dal figlio il fantasma della tristezza, proteggerlo da un male contagioso, che non saprebbe come affrontare. La tristezza è invece un’emozione importante e spesso di grande aiuto per condurci, in tempi adeguati, attraverso i differenti stati emotivi. Appare meritoria a riguardo l’operazione condotta dal film di animazione della Disney Pixar, Inside Out, che, rompendo lo stereotipo disneyano del “tutti felici”, assegna al “personaggio tristezza” un ruolo importante e strategico nella vicenda narrata, sorprendendo favorevolmente molti spettatori.
Lo stereotipo “tutti felici” è comunque sempre in agguato, sembra, ad esempio, poter riemergere in una figura recentemente comparsa nel mondo delle aziende: il manager della felicità o Chief Happiness Officier come viene definito negli Stati Uniti dove questa figura è nata. Si tratta di un rischio possibile quando si attribuisce un valore assoluto, e non transitorio, a un determinato stato emotivo. In una vita normale non è possibile essere permanentemente felici, ma è proprio questa idealizzazione della felicità che ci ha portato a guardare la tristezza, erroneamente descritta come l’opposto della felicità, in modo sbagliato. La tristezza è un’emozione di cui in genere abbiamo bassa consapevolezza e che spesso ci coglie impreparati, perché facciamo fatica a comprendere la sua funzione “traghettante” da uno stato emotivo a un altro. Le lacrime, in particolare, ci aiutano a capire quanto l’emozione della tristezza sia vicina ad altri stati emotivi. Adrianus Vingerhoets, professore dell’Università di Tiburg nei Paesi Bassi, maggiore esperto al mondo in psicologia del pianto, ci spiega come questa manifestazione venga stimolata da una ampia gamma di sentimenti, come: empatia, sorpresa, rabbia e afflizione. Le lacrime rappresentano anche un potente segnale di comunicazione che gli altri possono vedere.
Immaginare quindi un ruolo efficace e positivo per i manager della felicità, attento ad evitare i possibili risvolti caricaturali, significa mettere al centro la dimensione dell’ascolto, con l’obiettivo di migliorare il benessere delle persone attraverso la comprensione e la valorizzazione di tutte le emozioni. Nel caso della tristezza è importante ricordare che l’origine di questa emozione è legato alla perdita di qualcosa o di qualcuno. È un’emozione complessa, che apre a due possibili strategie all’apparenza opposte tra loro: la prima mira ad ottenere un aiuto esterno, la seconda invece, nella ricerca di protezione, ci guida in un percorso di isolamento funzionale al recupero delle energie attraverso l’introspezione e il riposo.
Come possiamo allora aiutare una persona triste, di fronte all’incertezza tra due comportamenti antitetici? È opportuno tenerli in considerazione entrambi. Innanzitutto, è importante ascoltare la persona triste, accettando la sua manifestazione emotiva, in modo che non si senta a disagio nel condividerla. Superare questo stereotipo non è facile, stanno tuttavia aumentando le evidenze a sostegno del fatto che le lacrime siano funzionali, perché innescano i legami sociali e la connessione umana. La tristezza ha bisogno del pianto, la sua funzione è proprio quella di “liberare” di “far uscire dal nostro organismo” il peso, l’accumulo dei pensieri e delle sensazioni, che si sono sedimentate all’interno. Una consapevolezza di questo tipo, orientata all’accettazione e a “lasciar andare”, ci aiuta a traghettare la persona verso una nuova emozione più costruttiva, riducendo il rischio che la tristezza diventi cronica, aprendo la strada alla depressione. Per quanto riguarda la seconda modalità di gestione della tristezza, più incline al recupero dell’energia attraverso l’introspezione e l’isolamento, affinché diventi una vera strategia di coping, è importante cercare di alimentare una componente che potremmo definire “dinamica e creativa”, per evitare il rischio di limitarsi a rimuginare i nostri dolori e leccarci le ferite.
I suggerimenti a questo punto potrebbero essere moltissimi: è molto utile scrivere, per esempio, tenere un diario, utilizzarlo come strumento per un confronto successivo con qualcuno, dopo che avremo recuperato equilibrio ed energie. Fa molto bene camminare, entrare in contatto con la natura, che ha un grande potere di farci tornare in armonia con noi stessi. Ma è chiaro a questo punto che molti di questi suggerimenti sono intimamente legati alla nostra soggettività, e che quindi ognuno debba trovare la soluzione migliore per le proprie caratteristiche. L’elemento comune importante è non scivolare nella passività e cercare di stimolare sempre la nostra consapevolezza.
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