In un saggio da poco uscito in libreria, La società signorile di massa, il sociologo Luca Ricolfi, presidente della fondazione David Hume, dipinge un quadro davvero poco esaltante del nostro Paese, dove il numero delle persone che non lavorano ha superato quello di chi lavora, all’interno di un sistema stagnante, senza più spinta verso il futuro. Una società, tuttavia, ancora capace di consumi definiti “opulenti”, perché in grado di attingere alle ricchezze accumulate dalle generazioni precedenti.
L’analisi di Ricolfi individua tra le cause principali di questo declino: “La distruzione della scuola e dell’università: un formidabile generatore di disoccupazione volontaria e connesse disillusioni. In sintesi, un sistema scolastico che per un malinteso senso di benevolenza verso gli studenti certifica competenze che non ci sono, confermando di fatto un accorato appello redatto nel 2017 da seicento accademici, che denunciavano carenze linguistiche da parte degli studenti universitari appena tollerabili in terza elementare”.
Sono dati che fanno riflettere ma che dovrebbero anche convincerci di quanto sia importante e strategico il valore della formazione per sviluppare, indipendentemente da chi se ne occupi, le competenze indispensabili per affrontare il futuro che ci attende. Il World Economic Forum di Davos ha dato un contributo determinante in questo senso, definendo le dieci competenze che saranno più richieste dal mercato del lavoro nel 2020. A chi, come noi, si occupa di soft skill, e in particolare di competenze emotive, non può che far piacere rilevare in questo elenco, precisamente tra la terza e la sesta casella, competenze come: Creatività; Gestione delle persone; Capacità di coordinarsi con gli altri; Intelligenza emotiva. Il confronto con il medesimo elenco stilato nel 2015 vede fra l’altro salire, in termini di importanza, la Creatività e comparire per la prima volta l’Intelligenza emotiva.
Da alcuni anni ormai si dibatte, nel mondo della formazione ma non solo, riguardo alle strategie da adottare per la ricerca e lo sviluppo delle competenze necessarie per fare la differenza nel prossimo futuro; si tratta di un tema essenziale anche per i processi di selezione e per l’individuazione dei talenti. Scorrendo attentamente l’elenco di competenze elaborato dal World Economic Forum si riesce a cogliere un segnale positivo, che pare orientato a ricomporre quell’antica cesura, tipica della nostra cultura, tra sapere teorico e abilità esperienziali e operative, più difficili da definire ma essenziali per l’efficacia di una prestazione lavorativa.
Il disallineamento tra questi due aspetti della conoscenza, più affini da sempre alla cultura anglosassone sotto il nome di Knowledge, Skills and Abilities, è apparso sempre più evidente da quando nel mondo del lavoro si è imposto il concetto di Competenza. Gli studi al riguardo risalgono agli inizi degli anni Settanta: è lo psicologo David McClelland il primo a teorizzare questo concetto e ad affermare, in un suo famoso articolo del 1973, che le conoscenze scolastiche e i titoli di studio non sono in grado di predire il successo professionale. Nella definizione di McClelland le conoscenze e le abilità, che vengono collocate in una sfera più esterna e visibile, si legano a tratti più profondi dell’individuo: immagine di sé, valori e motivazioni.
È davvero interessante allora, in virtù di queste considerazioni, constatare come l’ingresso nella cosiddetta quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dall’uso di tecnologie sempre più potenti e interconnesse, che vedranno in futuro l’utilizzo sempre più diffuso di sistemi basati sull’Intelligenza artificiale, coincida con una rinnovata attenzione e sensibilità al fattore umano. Le competenze che abbiamo precedentemente sottolineato appartengono, infatti, a quelle componenti dell’intelligenza che in una ipotetica sfida tra uomo e macchina vedono le persone come non sostituibili.
Il mondo della formazione si trova dunque di fronte a una sfida epocale, dalla quale dipende molto di quanto avverrà nell’evoluzione del lavoro nei prossimi anni. Aver individuato le competenze che saranno determinanti per affrontare efficacemente questo passaggio è di sicuro un aspetto importante. La particolare natura delle competenze in gioco richiederà tuttavia anche un grande sforzo per formare le persone capaci di guidare questi processi. Si tratta di una sfida affascinante, una sorta di nuovo umanesimo nell’era dell’Intelligenza artificiale, chiamato ad attingere ai valori più alti dell’intelligenza umana.
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