Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “MANAGEMENT E GESTIONE DELLE EMOZIONI”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Odio Amore – n. 272, Marzo-Aprile 2019 – GIUNTI EDITORE
È opinione diffusa che nei prossimi dieci-quindici anni assisteremo a radicali processi di trasformazione nel mondo del lavoro; come sappiamo, tutto questo è legato all’innovazione tecnologica, alla digitalizzazione e a forme sempre più spinte di automazione legate ai progressi dell’intelligenza artificiale.
Per chi, come noi, si occupa da molti anni di formazione è di estremo interesse cercare di comprendere come le organizzazioni reagiranno a tale fenomeno, anche se qualche tendenza già s’intravede e, come spesso accade in un mondo che viaggia sempre più veloce, è caratterizzata da forti contrasti.
Da un lato, vi è una richiesta di massima efficienza, soprattutto nei riguardi della risorsa tempo. In questa prospettiva, anche la formazione dev’essere rapida, sintetica, incisiva, concreta, insomma immediatamente applicabile nella realtà quotidiana.
Micro-learning, formazione a distanza, brevi incontri su temi specifici finalizzati alla risoluzione di problemi sono le soluzioni che cercano di interpretare al meglio queste esigenze.
Bisogni comprensibili, ma anche il segnale di una cultura organizzativa “stressata” che, temendo l’obsolescenza delle conoscenze, privilegia la velocità e la continua ricerca del nuovo a scapito della profondità e del consolidamento delle competenze.
Per questa ragione non proviamo alcuna meraviglia quando da più parti ci arrivano richieste mirate alla ricerca dell’equilibrio e del benessere delle persone: mindfulness, consapevolezza emotiva, comunicazione non violenta ecc.
Segnali probabilmente premonitori di una stagione di grandi mutamenti, durante la quale dovremo occuparci ancor di più delle persone, nella ricerca del migliore equilibrio tra emozioni e ragione.
L’interesse per gli aspetti emozionali è infatti in crescita. Un tempo ai manager veniva richiesto di lasciare le emozioni al di fuori del lavoro e di occuparsi solo di questioni concrete e dei risultati; oggi, per fortuna, lo scenario è decisamente mutato, molti studi ormai confermano come alcuni aspetti dell’intelligenza emotiva siano predittivi di una performance efficace.
Ma soprattutto si è compresa l’importanza strategica della presenza di manager emotivamente intelligenti all’interno dell’organizzazione, capaci di gestire le proprie e le altrui emozioni, attenti a quanto accade nella dinamica di relazione e consapevoli del valore della componente non verbale della comunicazione per una gestione efficace e costruttiva dei loro collaboratori.
È importante, quindi, riassumere gli aspetti più importanti riconducibili a questa competenza:
• conoscere le proprie e le altrui emozioni;
• saperle gestire;
• motivare sé stessi;
• saper utilizzare tali competenze nella relazione con gli altri.
La consapevolezza dell’importanza strategica di queste capacità non può tuttavia limitarsi a casi isolati.
La competenza emotiva deve diventare un sapere e una consapevolezza diffusi, capaci di permeare tutta l’organizzazione.
Per riuscire a costruire gruppi di lavoro emotivamente intelligenti è fondamentale operare per promuovere un cambiamento della cultura organizzativa, e per far ciò bisogna essere capaci di generare modelli di confronto e di comunicazione più aperti e flessibili, rinunciare a facili scorciatoie, essere disposti ad accettare maggiore complessità, alimentare l’ascolto, la fiducia reciproca e un clima di maggiore cooperazione all’interno dell’organizzazione.
Nel presidio di questi processi diventa determinante il ruolo dei manager delle risorse umane, che hanno anche la responsabilità di fungere da “sponsor” nella creazione di una nuova cultura manageriale. Si tratta di una consapevolezza importante, che diviene cruciale quando lo scenario è segnato da profondi mutamenti, clima di incertezza, maggiore complessità. Attorno a noi c’è un mondo che cambia a una velocità impressionante: l’innovazione tecnologica, gli effetti della globalizzazione, una società sempre più complessa e multietnica, l’enorme quantità di informazioni da gestire, comunicazioni frenetiche sempre più disattente alla componente emotivo- relazionale.
Situazioni che generano comprensibilmente paura e senso di inadeguatezza in molte persone, le quali temono di non avere risorse sufficienti per adattarsi a cambiamenti di tale portata.
Quando la realtà da affrontare assume queste connotazioni (e oggi accade sempre più spesso) non è più possibile affidarsi al “buon senso” o alla estemporanea sensibilità del volenteroso di turno. Bisogna essere disponibili e capaci di esplorare contesti sociali, culture organizzative e personali, processi cognitivi e stili relazionali diversi dai nostri.
Comprendere i valori, le motivazioni e le aspettative nei confronti del futuro.
È innegabile che cambiamenti di questa portata richiederanno uno sforzo di adattamento superiore rispetto a quanto accaduto finora.
Saremo capaci di conciliare le richieste di efficienza che arriveranno dalle organizzazioni impegnate nei processi di innovazione, con i bisogni e le motivazioni delle persone coinvolte?
Spesso i processi di “change management” falliscono proprio perché sordi e ciechi all’ascolto e alla gestione della componente soggettiva delle emozioni.
Le dinamiche emotive che scorrono profonde sono talvolta così intense da sabotare le trasformazioni più strategiche.
Il mondo della formazione si trova di fronte a una grande sfida, da sempre ha svolto un ruolo importante e strategico nell’organizzare e facilitare i processi di cambiamento rendendo comprensibili e accettabili i grandi mutamenti.
Affinché questo possa continuare, le emozioni nei luoghi di lavoro devono essere riconosciute e ascoltate.
Oggi abbiamo le conoscenze, le competenze e il sostegno della ricerca scientifica per poterlo fare: trasformare ciò che per troppo tempo è stato visto come una criticità da cui difendersi, in una preziosa risorsa per affrontare le sfide del futuro.
Il tuo carrello è vuoto.