Pochi concetti ci sono d’aiuto, nell’intento di modificare in meglio l’idea di forza, quanto quello di resilienza. In fisica e in ingegneria resilienza indica la capacità di un materiale di tornare allo stato iniziale dopo aver subìto uno shock. Il termine deriva dal verbo latino “resalio”, che qualcuno mette in relazione con il gesto di risalire sulla barca capovolta dalla forza del mare. C’è una frase di Ernest Hemingway che rappresenta molto bene questo concetto: “La vita ci spezza tutti, ma solo alcuni diventano più forti nei punti in cui si sono spezzati”.
Essere resilienti significa quindi guardare alla forza in modo diverso, attingere a un pensiero più articolato e complesso, che contempla l’esistenza del limite e la possibilità del fallimento. Affrontare le difficoltà con una mentalità positiva, andare avanti nonostante le crisi, attraverso un percorso che permette la costruzione, anzi la ricostruzione, di un nuovo equilibrio di vita. Si tratta di un’abilità di grande valore, che attinge le sue risorse da una “forza intelligente”. Studi recenti sembrano confermare le ricerche condotte a Berkeley dallo psicologo Dacher Keltner che aveva coniato la definizione di “paradosso del potere”.
Keltner aveva notato come nel tempo l’esercizio del potere tende a far perdere alle persone alcune delle doti che hanno consentito loro di ottenerlo. In particolare, aveva riscontrato una limitata capacità di entrare in sintonia con le persone con cui erano in relazione e di riuscire a comprendere cosa loro stessero provando. Queste intuizioni sono state confermate da Sukhvinder Obhi, un neuroscienziato della McMaster University in Ontario, che ha condotto una serie di esperimenti usando la tecnica della Stimolazione Magnetica Transcranica (TMS), attraverso i quali ha potuto appurare che l’esposizione al potere danneggia il funzionamento di alcune strutture cerebrali, i neuroni a specchio, che com’è noto sono alla base della nostra capacità empatica.
Oggi sempre meno persone sono disposte ad accettare di essere guidate attraverso metodi autoritari, è cambiata la società, sono cambiati i modelli educativi all’interno delle famiglie. Abbiamo speso molte parole per far comprendere la differenza tra autoritarismo e autorevolezza, e possiamo dire che questo è un dato in larghissima misura compreso e condiviso. Immaginare una “leadership resiliente” significa dunque lasciarsi guidare da un modello più in sintonia con le aspettative e i desideri delle persone. Abbiamo abbandonato le certezze di un tempo, molti indicatori ci dicono che dovremo affrontare un futuro incerto e complesso, segnato da profondi cambiamenti. I valori e le capacità cui si ispira la resilienza ci aiutano a guardare tutto questo con maggiore fiducia. Proviamo quindi a indicare in sintesi alcune delle più importanti qualità che dovrebbero ispirare i leader (e le organizzazioni) resilienti:
· Riflessività: la persona resiliente manifesta calma, valuta con lucidità la situazione, è capace di pensare anche sotto pressione.
· Flessibilità/Creatività: la capacità di uscire dagli schemi, di guardare la realtà con occhi diversi e di imparare dagli errori.
· Fiducia: in sé stessi e negli altri. Non lasciarsi mai sopraffare dagli eventi, affrontare le avversità con motivazione, convinti di poter trovare una soluzione.
· Empatia: imparare dagli altri, attraverso l’osservazione, l’ascolto e lo scambio emotivo.
L’insieme di queste doti può aiutare i leader ad accettare anche il carattere transitorio del proprio ruolo, evitando i rischi della seduzione del potere. La qualità più importante di un leader dovrebbe essere quella di saper far crescere le persone. Già nel sesto secolo a.C. Lao Tzu affermava che il capo migliore è quello i cui seguaci possono dire: “Abbiamo fatto tutto da soli”.
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