Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “2018, FUGA DAI SOCIAL MEDIA?”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Nuove Relazioni – n. 268, Luglio-Agosto 2018 – GIUNTI EDITORE
“Phubbing” è un neologismo nato dalla fusione di “snubbing” (snobbare) e “phone”, il significato è fin troppo chiaro perché credo che aver generato o subito questo comportamento appartenga all’esperienza di ognuno di noi: essere in compagnia di qualcuno e restare incollato al proprio smartphone, distraendosi dalla relazione reale. A partire dal 2013 è attivo il sito “Stop Phubbing” che attraverso dati, informazioni e varie iniziative di sensibilizzazione cerca di contrastare il fenomeno. Il phubbing è solo un aspetto della complessa galassia dei fenomeni generati dalle tecnologie digitali, tuttavia rappresenta assai bene una deriva decisamente pericolosa per la qualità delle relazioni: è evidente, infatti, che la pratica di questo comportamento pone la persona che lo attua in una posizione oneup rispetto al suo interlocutore in carne ed ossa accanto a lui. È probabile che ciò avvenga molto spesso nella completa inconsapevolezza delle persone coinvolte, ma non nell’indifferenza della loro parte emotiva.
La dinamica oneup/ one-down è infatti un meccanismo potente, capace di attivare il nostro cervello emotivo, all’origine di numerose patologie relazionali che possono sfociare in veri e propri conflitti. Comprendere cosa l’utilizzo delle tecnologie digitali abbia mutato nella relazione tra le persone non è un compito facile; le ricerche in merito forniscono spesso dati alquanto contrastanti, anche perché non è sempre chiaro l’obiettivo della ricerca; a questo si aggiunga che si tratta comunque di fenomeni ancora recenti: la diffusione pervasiva degli smartphone riguarda, in fondo, gli ultimi dieci anni (il primo IPhone esce nel 2007).
In ogni modo, possiamo analizzare i comportamenti concretamente osservabili e su questi provare ad avviare un’attenta riflessione.
In proposito può essere interessante analizzare uno strumento di comunicazione in Rete che ha preceduto gli attuali social media, i forum, spazi di discussione guarda caso entrati in declino con l’avvento di Facebook. I forum sono uno strumento di discussione fra utenti registrati che condividono un interesse comune, ma le differenze con gli attuali social media sono significative: la comunicazione fra utenti avviene in modo asincrono, cioè per partecipare è necessario collegarsi a un sito nella cui pagina iniziale appaiono le diverse discussioni suddivise per argomenti; gli interventi possono avere una lunghezza variabile, ma in genere hanno una natura articolata e complessa, prevalentemente di contenuto, e le immagini sono molto più rare. È quasi sempre prevista la figura di uno o più moderatori.
Senza alcuna volontà di giudicare, appare evidente la distanza con la natura istantanea, emotiva e “destrutturata” degli attuali social media.
La partecipazione, sicuramente più assidua, richiede un impegno e un coinvolgimento minori: cliccare un “like”, allegare un’immagine o il link a qualche contenuto. Più rari, e caratterizzati da una struttura più semplice e informale, i messaggi di testo. Tutto ciò all’interno di uno spazio che ci tiene in connessione con un numero pressoché infinito e indefinito di utenti. Uno spazio dove i messaggi hanno, salvo sporadici casi, vita breve – il tempo di raccogliere qualche “mi piace” all’insegna della gratificazione immediata.
Le recenti disavventure di Facebook, per quanto legate ad aspetti che riguardano la privacy e la sicurezza, hanno probabilmente risvegliato da un generalizzato torpore un’opinione pubblica fin troppo incline a cogliere solo i vantaggi, peraltro innegabili, che la rivoluzione digitale ha portato. A seguito di tali eventi tante importanti aziende hanno deciso di chiudere la loro pagina su Facebook ed è nato anche un movimento chiamato “Delete Facebook”. Certo, reazioni a caldo, non è facile immaginare che si possa sgonfiare in un colpo un social media con due miliardi di utenti. Per noi è molto più utile gettare uno sguardo su quanto è stato documentato circa gli effetti che questi strumenti hanno sulle nostre relazioni e in particolare sulle situazioni che si presentano come particolarmente delicate.
Una recente ricerca dal titolo «Il ruolo dei messaggi compulsivi nel rendimento scolastico degli adolescenti», pubblicata sulla rivista Psychology of Popular Media Culture, individua una precisa correlazione negativa fra il tempo passato sui social media e il rendimento scolastico. La ricerca afferma che gli adolescenti osservati ricevono e inviano una media di 167 messaggi al giorno.
L’uso compulsivo dello smartphone viene descritto come una sindrome multidimensionale che si manifesta con sintomi di tipo sia comportamentale che cognitivo. Comportamenti analoghi sono individuabili anche nelle relazioni affettive, quando all’interno della coppia si manifesta il “partner phubbing”, un fenomeno destinato a provocare trascuratezza nella relazione, disagio e sentimento di abbandono. In uno studio pubblicato sulla rivista Computers in Human Behavior, dal titolo emblematico «La mia vita è diventata una distrazione dal mio smartphone», gli autori David Meredith e Robert James parlano proprio di questo, di uno strumento capace di generare un desiderio superiore a quello per il partner. Può sembrare paradossale provare gelosia per un oggetto, uno smartphone, ma quanto emerge dalla ricerca è esattamente questo: la presenza dell’oggetto, sempre visibile, che si frappone tra i partner nella relazione.
Le tecnologie digitali hanno facilitato, velocizzato, potenziato e reso sempre disponibile lo scambio delle informazioni, aprendo spazi un tempo inimmaginabili nelle relazioni. Insieme a questo,però, si sono modificati i linguaggi e le forme della relazione.
L’idea che gli strumenti di comunicazione siano, nella loro essenza, neutri, per cui tutto dipende dall’uso buono o cattivo che ne facciamo, è un pensiero ingenuo.
La natura profonda di un mezzo di comunicazione produce un inevitabile cambiamento nella rappresentazione della realtà.
Chi è preoccupato per alcune delle derive descritte ha probabilmente un unico modo per potersi difendere: creare un “cocktail” diverso per la gestione del proprio tempo, tornando ad assegnare un’adeguata proporzione alle relazioni mediate dalla corporeità e alle parole accompagnate dallo sguardo negli occhi dell’altro.
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