Globalizzazione e innovazione tecnologica sono le parole chiave per comprendere cosa è accaduto, e cosa sempre di più accadrà, nelle imponenti trasformazioni che hanno investito il mondo del lavoro in questi ultimi anni. Sono anche la premessa migliore per interrogarsi su cosa sta avvenendo nelle persone, all’interno delle organizzazioni coinvolte in queste potenti dinamiche. Si affermano nuovi modi di organizzare i processi produttivi, emergono forme atipiche e autonome di lavoro, si osserva una importante trasformazione dei mestieri, delle professioni, ma soprattutto delle competenze utili per far fronte a un insieme di sfide che attendono ancora una piena risposta.
Per molto tempo lavorare ha significato recarsi in un luogo preciso, uno spazio fisico, che rappresentava un ambiente sociale di aggregazione capace nel tempo di generare “senso di appartenenza” e “idea di comunità.” Tutto questo avveniva in un tempo definito, scandito da rituali precisi che separavano il tempo del lavoro da quello delle relazioni sociali – private e di comunità – quello che con l’avvento della modernità verrà definito: il “tempo libero”. Oggi molto poco è rimasto di tutto questo, i luoghi di lavoro perdono sempre più frequentemente pezzi della loro identità. In nome dell’efficienza produttiva si decide di spostare il lavoro, delocalizzarlo, oppure sostituire lo spazio fisico con “luoghi digitali”, spazi virtuali. La perdita del radicamento dissolve il senso di appartenenza; il tempo per il lavoro e quello personale si confondono. Nella dimensione digitale siamo sempre connessi, le relazioni non conoscono limiti e non sono soggette a barriere temporali. La “connessione” ha sostituito il “legame”.
In questo scenario di inarrestabile trasformazione, molto vasto e complesso, carico spesso di ambiguità, uno dei temi dibattuti sin dagli inizi degli anni Novanta ha riguardato la cosiddetta flessibilità del lavoro, cioè il luogo dove lavorare e il tempo in cui lavorare. Il Lavoro agile, o “smart work” che dir si voglia, ha accompagnato in tutte le sue fasi di sviluppo una svolta epocale, l’affermarsi di un nuovo modo di lavorare, senza ombra di dubbio più flessibile e, almeno nelle intenzioni, più equilibrato. Ma cosa implica e cosa comporta lavorare “in remoto”? Cosa significa per le persone? Cosa cambia nella gestione di una organizzazione così strutturata? Quali sono gli impatti per chi ha responsabilità di guida? È infatti lo stile di leadership l’elemento di cultura aziendale esposto ai più profondi cambiamenti.
Il primo passo è la necessità di rivedere la struttura della relazione tra le persone: da una logica gerarchica, basata sul controllo – spesso diretto, immediato, “a vista” – a una logica che fa leva sulla fiducia tra e verso le persone. E non solo: è necessario passare da una osservanza rigida della gerarchia aziendale al valore delle competenze e all’appartenenza a un network professionale.
Si trasforma il paradigma gestionale: diventa necessario concentrare la propria azione sul raggiungimento degli obiettivi, superando l’antico vincolo delle misure della performance, quali la presenza e il tempo. Per il leader diventa fondamentale la capacità di delegare, concedere spazi di autonomia e un aumento delle responsabilità del collaboratore. Imparare ad accettare che il collaboratore porti a termine il lavoro seguendo una sua strada, con risultati a volte anche più efficaci di quanto avrebbe fatto nella vecchia modalità. Tutto questo rappresenta non solo un cambio di mindset, ma una vera e propria trasformazione del modo di essere leader, soprattutto nell’aver assimilato il valore della diversità, che consente di apprezzare modalità di lavoro diverse dalle proprie.
Una prospettiva nella quale una mente flessibile ed empatica diviene un requisito indispensabile per il successo. Entrare in relazione con chi lavora a qualche migliaio di chilometri dalla nostra scrivania e che potremo incontrare solo saltuariamente richiede una elevata consapevolezza che può scaturire solo da precise domande. Bisogna essere disponibili e capaci di esplorare contesti sociali, processi cognitivi e stili relazionali, culture organizzative e personali diverse dalle nostre. Comprendere i valori, le motivazioni e le aspettative nei confronti del futuro.
E tutto questo ormai non è più una novità. L’evoluzione è inarrestabile e l’esigenza di mettere a terra azioni concrete che ci portino a migliorare la nostra efficacia gestionale e, di conseguenza, il successo dell’organizzazione e delle persone, diventa un imperativo che non è più possibile rimandare. Saremo capaci di conciliare le richieste di efficienza che arriveranno dalle organizzazioni impegnate nei processi di innovazione, con i bisogni e le motivazioni delle persone coinvolte?
Il mondo della formazione si trova di fronte a una grande sfida; da sempre ha svolto un ruolo importante e strategico nell’organizzare e facilitare i processi di cambiamento rendendo comprensibili e accettabili i grandi mutamenti. E quando il cambiamento continuo diviene l’unica costante, la “learning organization”, l’organizzazione che si trasforma in un “sistema che apprende”, capace di integrare idee, saperi ed esperienze all’interno di un patrimonio comune, rappresenta l’unica risposta capace di coniugare l’efficienza con lo sviluppo e la crescita personale degli individui. È opinione diffusa che nei prossimi 10/20 anni assisteremo a cambiamenti di portata storica nel mondo del lavoro; dobbiamo impegnarci fin d’ora per costruire un futuro capace di governare questi processi con efficienza, lungimiranza e senso di responsabilità.
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