Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “LA PAURA DI PARLARE IN PUBBLICO”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Paura –n. 266, Marzo-Aprile 2018 – GIUNTI EDITORE
Vi è mai capitato di essere sul palco o semplicemente di fronte a un nutrito gruppo di persone e, pur sapendo di essere molto preparati, di non riuscire a rimanere calmi e sereni?
Le mani cominciano a sudare, la gola si secca, cercate disperatamente un bicchiere d’acqua, in qualche modo chiudete l’intervento, anche se lottare contro voi stessi vi è costata un’enorme fatica.
È una situazione molto più comune di quanto si creda, ma non basta certo questo per consolarvi.
La frustrazione che ne deriva può essere assai forte e il desiderio più grande, a questo punto, è quello di trovare un rimedio.
Persino uno dei più grandi oratori di sempre, come Cicerone, ammise di aver dovuto fare i conti con la paura di parlare in pubblico. La paura è una tra le emozioni più importanti per ogni essere umano. Insieme alla rabbia costituisce uno dei tasselli fondamentali per la nostra sopravvivenza.
Queste due emozioni rappresentano la base della reazione attacco/fuga, che ha svolto una funzione importantissima durante tutta la nostra evoluzione. La condividiamo con la maggior parte degli animali, e non solo con quelli più evoluti, come scimpanzé o bonobo, ma anche con moltissime altre specie, geneticamente più lontane, come rettili, insetti e volatili.
Una serie concatenata di ormoni e neurotrasmettitori produce una reazione nel sistema nervoso, che si trasforma in sequenze comportamentali votate alla difesa della propria vita.
Un organismo che si trova in una situazione di pericolo comunica infatti con tutto il corpo che qualcosa, nell’ambiente, costituisce una minaccia. Nel mondo civilizzato, la maggior parte dei pericoli che hanno corso i nostri antenati sono scomparsi, ma il nostro organismo continua ad essere programmato per reagire in modo automatico, e questo avviene anche quando le risposte non si rivelano funzionali rispetto ai pericoli odierni.
Di fondo, infatti, agisce sempre lo stesso meccanismo: siamo spaventati, ci sentiamo minacciati, e ci comportiamo di conseguenza. Evitiamo situazioni, persone o comportamenti per paura di soffrire e stare male: il timore di parlare in pubblico è un perfetto esempio di queste situazioni.
L’evoluzione ha “selezionato per noi” una serie di comportamenti correlati alla paura che hanno permesso ai nostri lontani antenati di sopravvivere e quindi riprodursi.
Marks e Bracha hanno individuato 6 modi in cui la paura può far reagire il nostro corpo in modo spesso del tutto involontario.
• Freezing: restare immobili aiuta a valutare in maniera vigile la situazione e a non essere visti.
• Fuga: la risposta distanzia la persona da minacce specifiche.
• Lotta: attaccare, colpire o minacciare un predatore può neutralizzare il pericolo, mettendolo fuori combattimento o causandone la fuga.
• Sottomissione (membri della stessa specie): tra gli scimpanzé mettere in atto dei segnali di sottomissione nei confronti del maschio alfa previene efficacemente un attacco fisico. Lo stesso può avvenire tra gli esseri umani.
• Fingere di essere morti: in questo tipo di risposta si finge di essere morti, immobilizzandosi. Il vantaggio adattivo si realizza quando fuggire o lottare non servirebbe; per esempio, se il predatore è troppo veloce o troppo forte.
• Svenimento: svenire significa perdere coscienza e segnalare a chi attacca che non si costituisce una minaccia per lui.
Appare evidente come questi comportamenti si rivelino disfunzionali per gestire paure riguardanti le relazioni sociali, compresa la paura di parlare in pubblico.
Diventa quindi necessario individuare strategie adatte a gestire questo tipo di situazioni.
La prima e più importante risorsa a cui possiamo attingere è la conoscenza e la consapevolezza di come su di noi agiscono le emozioni. Le emozioni accadono, non possiamo evitarle, però si può imparare a gestirle con efficacia. Insomma, a riconoscere in sé e negli altri i segnali che accompagnano la comparsa di una manifestazione emotiva, per poi agire sui propri pensieri e sulle proprie azioni, modificando dunque il proprio comportamento comunicativo.
Esiste un periodo durante il quale siamo completamente in balia delle nostre emozioni, definito tecnicamente “periodo refrattario”, nel corso del quale l’emozione ci pervade completamente.
Ma poco prima di questo periodo, c’è un lasso temporale in cui abbiamo consapevolezza che un’emozione sta nascendo in noi, e lo capiamo perché cominciamo a percepire specifici segnali fisiologici di cambiamento. In quel preciso momento è possibile allungare il tempo che intercorre fra l’impulso che scatena l’emozione e il suo picco di intensità massima (l’inizio del periodo refrattario), grazie a mirati esercizi di consapevolezza e formulando ipotesi circa la ragione per cui stiamo realmente provando l’emozione. È infatti l’interpretazione che noi diamo della situazione ciò che attiva in noi alcuni specifici e personali “grilletti emotivi” (trigger) che ci inducono a reagire in un certo modo.
È fondamentale riuscire a soffermarsi su tale distinzione, perché è a partire da questa consapevolezza che noi possiamo riuscire a costruire efficaci strategie per gestire le nostre paure.
Ritornando, quindi, alla paura di parlare in pubblico, va osservato che la paura ci permette di restare focalizzati sul nostro obiettivo, e con un po’ di esperienza possiamo trasformarla in energia e determinazione via via che prendiamo dimestichezza con il pubblico. Affinché questo possa accadere è tuttavia necessario smettere di combattere con se stessi nel tentativo di sopprimere le proprie reazioni emotive. Bisogna invece riuscire a gestire quell’energia in modo diverso, attraverso un attento esercizio teso a “ristrutturare” (cioè attribuir loro un significato diverso) quei pensieri che condizionano la nostra reazione emotiva. L’importante è abituarsi a cogliere il momento che precede quella fase di “sequestro emotivo” oltre la quale diventa difficile sottrarsi a un’onda di sensazioni che guiderà ogni nostro atteggiamento.
Esistono diverse strategie che possiamo attuare per gestire questa emozione, come le tecniche che sfruttano i pensieri paradossali. Il loro obiettivo è cercare di esorcizzare la paura portandola all’eccesso, fino a immaginarsi l’incubo peggiore: raggiunto quell’apice, si potrà solo migliorare.
Altre tecniche prevedono la costruzione di un pensiero positivo rivolto a individuare le risorse interne che già possediamo. Per esempio, posso pensare di essere fortunato perché ho centinaia di persone che sono lì proprio per ascoltarmi, oppure che un’occasione come questa mi permetterà di acquisire maggiore visibilità. Se tali pensieri sono rivolti ad alimentare le nostre motivazioni più profonde, la possibilità di utilizzare l’energia generata dall’emozione in modo funzionale aumenta.
«Conoscere le nostre paure è il miglior metodo per occuparsi delle paure degli altri» sosteneva Jung.
A me piace aggiungere che solo così possiamo aiutarli davvero.
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