L’esito ideale di un atto comunicativo è la piena comprensione, da parte dei nostri interlocutori, del significato del nostro messaggio. Sappiamo tuttavia molto bene quanto sia facile essere fraintesi, e questo può accadere a livello puramente informativo oppure coinvolgere anche la componente relazionale.
Parlare è un’attività così naturale che è del tutto normale dimenticarsi l’enorme complessità che la sostiene. Eppure, ognuno di noi quando parla utilizza e rispetta un insieme di regole in assenza delle quali le frasi pronunciate risulterebbero del tutto incomprensibili. Molte di queste regole le abbiamo apprese in modo naturale e spontaneo, attraverso l’ascolto e l’imitazione, quando eravamo molto piccoli. Noam Chomsky, il più grande linguista vivente, sostiene che questa abilità è una caratteristica unica della specie umana, una specializzazione cognitiva legata a una dotazione biologica innata codificata nei nostri geni. Una sorta di “Grammatica Universale” capace di elaborare all’infinito simboli astratti, all’origine di tutte le lingue.
Quello che sappiamo tutti, invece, è che la scuola si è fatta carico di renderci consapevoli di molte delle regole che sono alla base di un uso corretto della lingua, migliorando quindi la nostra capacità di elaborare messaggi via via più complessi.
Esiste tuttavia una grammatica che a scuola nessuno ci ha insegnato. Conosciamo le parole, siamo capaci di sceglierle e combinarle in mille modi diversi in relazione alla situazione che stiamo vivendo, siamo invece molto meno consapevoli delle regole che presiedono alla costruzione delle relazioni. Ci fidiamo del nostro istinto, cerchiamo di limitare il disagio, desideriamo stare bene nelle relazioni, ma solo raramente riusciamo a guidare queste situazioni in modo consapevole. Eppure, tutti gli studi sulla comunicazione ci insegnano che la possibilità di comprendersi vicendevolmente aumenta in modo significativo in relazione al livello di sintonia che riusciamo a stabilire con i nostri interlocutori.
Gli studi orientati a comprendere l’importanza del contesto e gli effetti della comunicazione sul comportamento fanno parte di una disciplina, definita “pragmatica”, che ha avuto, agli inizi degli anni 60’, un notevole impulso da parte della cosiddetta “Scuola di Palo Alto”. Una visione di tipo sistemico che ha rivoluzionato il modo di guardare la comunicazione, gettando le basi per un approccio strategico alla gestione delle dinamiche relazionali. Studi che hanno generato un campo di applicazione molto vasto: psicoterapia, relazioni di aiuto, attività negoziali e di management. L’esponente più conosciuto di questo gruppo e l’autore che ha dato i contributi più rilevanti, è Paul Watzlawick.
La natura delle relazioni nelle quali siamo quotidianamente coinvolti, viene costruita attraverso una serie di “negoziazioni implicite”, che Gregory Bateson chiamava “Proposte di relazione”. Dinamiche che in genere sfuggono alla nostra attenzione, ma che sono determinanti per definire i ruoli all’interno dei processi di comunicazione. Un’adeguata consapevolezza di quanto avviene a questo livello è una competenza di fondamentale importanza, in assenza della quale qualunque strumento di comunicazione rischia di risultare una sterile applicazione di tecniche, avulse dal contesto di riferimento.
Nei percorsi di formazione dedicati a questo tipo di approccio è importante andare oltre l’approfondimento teorico e dedicare un tempo cospicuo a un training specifico, finalizzato ad acquisire consapevolezza del proprio stile di comunicazione e delle modalità attraverso cui noi influenziamo gli altri. Più in generale, l’opportunità di approfondire questi temi ci aiuta a comprendere come l’attenzione ai comportamenti e l’ascolto attivo non appartengano solo alla sfera della sensibilità e del rispetto, ma siano anche la premessa indispensabile per affrontare in modo strategico la comunicazione.
Abbandonata la visione statica o meramente informativa del processo comunicativo, ci appare evidente la sua natura circolare e sistemica, nella quale il nostro comportamento (nel medesimo tempo) influenza e dipende dal comportamento dell’altro. Ogni tentativo di eludere questo livello di complessità porta a visioni riduttive e parziali di quanto avviene nell’interazione, impedendo, ancor prima di un atteggiamento etico, un approccio efficace e consapevole alla comunicazione.
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