“Se vuoi costruire una nave, non riunire i tuoi uomini per dar loro degli ordini, per spiegare ogni dettaglio, per indicargli dove trovare ogni cosa. Se vuoi costruire una nave, fai nascere nel cuore dei tuoi uomini il desiderio del mare”
C’è molta saggezza e anche pensiero strategico in queste parole di Saint-Exupéry, un ottimo punto di partenza per cominciare a riflettere su cosa rappresentano per noi le motivazioni e come poterle comunicare in modo efficace.
Cosa rappresentano?
Si è soliti pensare alle motivazioni come alla “benzina” delle nostre azioni, a ciò che ci dà la spinta, ma rappresentano molto di più.
Le nostre motivazioni rappresentano i nostri desideri, i nostri valori, i nostri parametri di giudizio, le lenti attraverso cui osserviamo il mondo.
Le scelte che abbiamo compiuto nella vita.
Perché lasciare un lavoro prestigioso e magari ben pagato per un posto che non ha queste caratteristiche?
Perché ciò che ha senso ed è importante per noi per qualcun altro potrebbe sembrare superfluo o di poco valore?
Perché viviamo alcune situazioni come conflittuali quando altre persone valutano quelle stesse situazioni in maniera del tutto diversa?
La risposta è che le cose che agli occhi di altri possono sembrare assurde, trovano un significato preciso se osservate attraverso la lente delle nostre motivazioni.
Le nostre motivazioni si formano durante la crescita, sono influenzate dall’educazione che abbiamo ricevuto, dall’ambiente nel quale siamo cresciuti, dalle frequentazioni scolastiche e dalle amicizie che abbiamo avuto.
Esperienze forti, capaci di lasciare un segno destinato a consolidarsi: “leve motivazionali” che ci accompagneranno per il resto della nostra vita, una sorta di “marchio di fabbrica” caratteristico di ogni persona.
Qualità che cercheremo di trasmettere ai nostri figli, consapevoli che potranno imprimere una giusta direzione alle loro vite.
Valori che ricercheremo nelle persone con cui allacciare salde relazioni.
Ma saranno anche l’origine di conflitti di fronte a persone che non saranno disposte a riconoscere questi valori o che addirittura li calpesteranno.
Riflessioni che ci aiutano ad ampliare il nostro sguardo sulle motivazioni, entità non facilmente negoziabili, condensato dei nostri desideri più profondi, delle nostre aspettative, a volte delle nostre paure.
Il Modello di Spranger
Secondo Edward Spranger le leve motivazionali sono sei: teorica, utilitaristica, individualistica, estetica, sociale, tradizionale. La motivazione teorica esprime il desiderio di accrescere le proprie conoscenze e la paura di passare per incompetente. La motivazione utilitaristica, il desiderio di ottenere vantaggi concreti e il timore di sprecare risorse. La motivazione individualistica è alla ricerca di leadership, visibilità, prestigio e teme l’anonimato, essere uno dei tanti. La motivazione estetica indica il bisogno di armonia a livello relazionale e nelle situazioni di vita, rifugge il conflitto e le situazioni di tensione. La motivazione sociale incarna il desiderio di essere di aiuto agli altri e il timore di passare per egoista e indifferente. E infine la motivazione tradizionale che esprime il desiderio di coerenza e il timore di non essere nel giusto solco valoriale.
Come possiamo usare questa consapevolezza
Philip K. Dick, il famoso autore di romanzi di fantascienza ispiratore di un film culto come Blade Runner, sosteneva che: “la realtà è solo un punto di vista, e lo strumento più potente per manipolarla è il controllo delle parole”. Molti studi sulla comunicazione strategica hanno indagato questo aspetto e anche il modello di Spranger, applicato alla comunicazione, può aiutarci in questo senso. Toccare la giusta leva motivazionale è uno dei modi più semplici e, allo stesso tempo, potenti per entrare in sintonia con la “visione del mondo” del nostro interlocutore. Se volete convincere il vostro interlocutore della bontà di un progetto, di una proposta o del vostro pensiero, oppure viceversa del rischio o degli svantaggi di una certa situazione, dovete far leva sulle sue leve motivazionali.
Affinché un feedback critico possa innescare un processo di cambiamento e crescita di un nostro collaboratore deve andare a toccare le sue leve motivazionali altrimenti verrà percepito come una “lamentela” del capo e quindi di poca importanza.
Ognuno di noi è guidato principalmente da alcune specifiche leve motivazionali. Quando comunichiamo a una platea di persone per essere efficaci e far arrivare il messaggio a tutti gli interlocutori dobbiamo cercare di utilizzare uno spettro abbastanza ampio di leve motivazionali, in questo modo aumentiamo le possibilità che almeno una delle leve importanti per i miei interlocutori venga toccata.
L’errore più grande
Le nostre leve motivazionali, come abbiamo visto, sono intimamente legate ai nostri valori più forti, siamo così abituati a dare per scontato che ciò che motiva noi debba motivare anche gli altri, e questo non solo non funziona ma rischia di portarci a commettere clamorosi errori.
Per motivare il vostro collaboratore a cui state affidando un nuovo progetto cosa decidete di comunicare: che questo progetto gli farà guadagnare visibilità; che creerà innovazione e armonia; che porterà un guadagno tangibile; che sarà di aiuto al resto del team; che è il giusto completamento per il percorso di crescita che l’azienda ha pensato per lui; che gli farà imparare cose nuove e incrementerà le sue competenze? Può darsi che una di queste motivazioni vi sembrerà particolarmente efficace, giusta, quella capace di suscitare un’emozione positiva, ma siete certi che sarà così anche per il vostro collaboratore?
Allo stesso modo quali elementi mettete in luce quando presentate la vostra azienda a un cliente? Sostenete di essere leader di mercato? Se ha la motivazione individualistica questo potrebbe piacergli, ma se invece questa caratteristica nel nostro interlocutore è molto bassa il nostro messaggio potrebbe risultare addirittura fastidioso. Sarebbe più efficace in questo caso affermare che la nostra azienda è presente sul mercato da lungo tempo, che ha una vasta gamma di prodotti, che è impegnata nel sociale, che dà molto valore alla relazione di partnership con il proprio cliente ecc.
La capacità di saper toccare la giusta leva motivazionale è determinante per riuscire ad aprire porte che potrebbero restare inevitabilmente chiuse. Nella vita privata ci accompagniamo con persone con cui condividiamo motivazioni e valori. All’interno di una organizzazione spesso siamo chiamati a collaborare con persone che non avremmo mai scelto, non riusciremo quindi a farci piacere un collega con cui non abbiamo leve motivazionali in comune. L’unica cosa che possiamo fare è riconoscere e rispettare le leve motivazionali dei nostri interlocutori anche se diverse dalle nostre.
Come riconoscere le motivazioni degli altri?
Una celebre frase di Ludwig Wittgenstein ci aiuta a comprendere come possiamo agire efficacemente in questa direzione: “I limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Costruiamo il nostro vocabolario intorno ai nostri valori, le parole che utilizziamo e che ritornano spesso, come un leitmotiv, nei nostri discorsi, rappresentano un indizio prezioso per comprendere la “visione del mondo” di chi ci sta di fronte, i valori, i desideri e le leve che muoveranno la sua motivazione. La competenza chiave da sviluppare è quindi l’ascolto. Determinante a riguardo il mindset di partenza: per poter sviluppare questa importante competenza dobbiamo essere capaci di risalire alla cornice di riferimento del nostro interlocutore e non dare per scontato che coincida con la nostra. Ascoltare per comprendere a fondo i reali bisogni, le premesse implicite e non dichiarate.
Quando qualcuno ci dice che per lui è importante la crescita professionale cosa intende? Sta parlando della crescita economica? Di ruolo? Di competenza? Di responsabilità?
Per ognuno di noi la parola “crescita” ha un significato evidente, indica una direzione precisa, è fondamentale quindi riuscire a comprendere cosa rappresenta l’idea di crescita nella visione del mondo del nostro interlocutore.
Lo strumento più utile per scoprire le leve del nostro interlocutore sono evidentemente le domande, e in particolare le domande aperte rivolte al futuro: cosa ti aspetti? Come ti vedi tra un anno? Cosa deve accadere per poter dire ho fatto la scelta giusta? Le domande però sono solo uno strumento, non possono essere il punto di partenza.
Il punto di partenza è un atteggiamento esplorativo, una mente curiosa interessata a comprendere il mondo attraverso le lenti del proprio interlocutore. Qualcosa del genere deve aver pensato anche Marcel Proust quando ha scritto: “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi”.
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