Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “PERDERE PER MIGLIORARE?”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – La Fine – n. 264, Novembre-Dicembre 2017 – GIUNTI EDITORE
Oggi desidero parlarvi di Anna. Anna è curiosa, ha brama di vita e di conoscenza, ama studiare e sognare luoghi lontani.
Anna lavora in un bar di mattina e nel pomeriggio dà ripetizioni di italiano.
Ha 21 anni, ma è già madre.
La sua famiglia d’origine non c’è mai stata, il padre di suo figlio frequentava insieme a lei la facoltà di Storia.
Lui ora sta preparando la tesi e ha deciso di seguire la propria strada da solo.
La storia di Anna è la storia di tante persone che spesso incrociano le nostre vite.
Sono storie che parlano di vite difficili, di possibilità negate, di rinunce.
Ma per alcuni di noi la storia di Anna potrebbe essere letta come l’esempio di una donna che vive appieno la propria vita, una donna protagonista per le scelte che ha saputo compiere, una donna coraggiosa per le risorse che inaspettatamente ha saputo mettere in gioco.
Anna sorride. Lo fa al mattino quando toglie uno schizzo di sapone dal naso del suo bambino.
Sorride quando nel tragitto verso casa, seduta nel tram, legge l’ultima pagina di un libro.
Cosa la rende felice? Cosa rende tante persone come lei fiduciose e appagate, nonostante la vita le abbia segnate con perdite e privazioni, le abbia esposte a rischi ed ostacoli, spesso proprio all’interno della famiglia in cui sono cresciute?
La capacità di superare le avversità, di affrontare lo svantaggio, adattandosi positivamente e mantenendo il proprio equilibrio: questa è la resilienza.
Le persone resilienti dimostrano consapevolezza degli obiettivi, motivazione nel trovare gli stimoli per portare a termine gli impegni, coerenza nelle scelte e nella operatività, ricerca di senso e significato nella vita e sense of humour.
E proprio quest’ultima risorsa personale sembra correlare fortemente con i meccanismi di regolazione delle emozioni, in particolar modo con il processo di interpretazione delle situazioni (appraisal) e di risposta ad esse (coping).
Autostima, ottimismo, autoefficacia e percezione di controllo sono quei fattori che fanno sì che nel processo di valutazione una persona legga in chiave positiva le situazioni potenzialmente stressanti.
Uno studio condotto nel 2008 da Peveri e Anolli ha dimostrato come la capacità di regolare le proprie emozioni e di interpretare le situazioni vissute con una connotazione positiva, sia il fattore che più di ogni altro favorisce un buon adattamento e la gestione delle situazioni percepite come stressanti.
L’aspetto interessante della ricerca è che questa capacità ha una valenza ancora più forte rispetto alle caratteristiche disposizionali (autostima, ottimismo, self efficacy, ironia ecc.) nel determinare il livello di resilienza di una persona.
Quale competenza è quindi necessaria per sviluppare un buon grado di resilienza?
Dalle ricerche emerge che diventare emotivamente competenti e sperimentarsi attivamente nel costruire relazioni positive è la chiave per sviluppare resilienza.
Essere emotivamente intelligenti significa riuscire a gestire le proprie ed altrui emozioni riconoscendone il fattore scatenante e gli indicatori involontari espressi a livello non verbale; non solo per creare resilienza, ma anche per sviluppare competenza relazionale.
L’intelligenza emotiva ci permette di riconoscere gli stimoli che causano le emozioni destabilizzanti, di interpretarle senza contaminarci quando queste sono d’intensità estrema e distruttiva, di scegliere quali comportamenti tenere per affrontare l’ambiente nella maniera più adattiva e funzionale, ovvero nel rispetto dei propri bisogni e delle motivazioni fondamentali degli altri, per preservare il proprio equilibrio emotivo.
La flessibilità, l’apertura mentale, la disposizione positiva nei confronti degli eventi sono quindi risorse determinanti, ma è anche vero che spesso dobbiamo fare i conti con la resistenza al cambiamento: la paura e insieme la fatica di lasciar andare qualcosa che finora ci ha garantito stabilità ed equilibrio.
Tuttavia esistono momenti nei quali non abbiamo scelta, come quando perdiamo qualcosa o qualcuno d’importante e dobbiamo per forza adattarci, reinventarci.
L’esperienza della perdita è inevitabilmente dolorosa, ma nella prospettiva che stiamo indagando può essere considerata anche come una straordinaria opportunità per mettersi in gioco e superare difficoltà che mai avremmo immaginato di riuscire ad affrontare.
Di fronte a un problema, quando scegliamo se agire o subire, scegliamo anche chi desideriamo essere e quale opinione vogliamo avere di noi stessi.
Per potere far ciò, dobbiamo traghettare la nostra tristezza in emozioni che ci diano forza, energia e determinazione.
Ristrutturare in chiave positiva i momenti difficili che abbiamo vissuto, evitare di restringere il quadro e lavorare invece per aumentare il numero delle possibilità.
Questo atteggiamento migliora la nostra efficacia, genera fiducia, aumenta la nostra autostima.
Sperimentarsi, abbandonare la propria zona di comfort, reinventarsi: azioni che necessitano di coraggio e di volontà di migliorare la propria esistenza in maniera sostanziale.
E per realizzare questo con il minore sforzo e la minore difficoltà possibili, è necessario avere un atteggiamento mentale aperto che guardi al futuro in maniera accogliente e positiva.
Insomma, imparare a diventare resilienti attraverso un quotidiano impegno a migliorare la nostra consapevolezza e a ricercare dentro di noi le risorse necessarie.
C’è una lunga tradizione di saggezza che individua nella metafora del viaggio un contenitore da cui attingere preziose risorse per la crescita personale.
Omero, Dante, Kerouac, in epoche lontanissime tra loro, hanno accompagnato milioni di lettori attraverso le inevitabili sfide che il viaggio di ricerca comporta.
Esperienze e racconti molto lontani tra loro che contengono un messaggio comune: è necessario perdersi per chi vuole ritrovarsi.
Miti, fiabe, leggende, da millenni ci raccontano questo passaggio.
Perdersi, abbandonare sovrastrutture, liberarsi di tutto quanto è inutile, avvicinarsi all’essenza delle cose, è un insegnamento che proviene da una saggezza antica quanto l’umanità.
In un bel libro dal titolo volutamente provocatorio – Se incontri il Buddha per la strada uccidilo – Sheldon B. Kopp, professore e psicoterapeuta, lo sintetizzava affermando: «Il terapeuta offre al paziente soltanto ciò che già possiede e gli toglie ciò che non ha mai avuto».
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