Articolo di Diego Ingrassia – “EDUCARE ALLE EMOZIONI”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Limiti – n. 263, Settembre-Ottobre 2017 – GIUNTI EDITORE
È sempre magico volare sopra la baia di San Francisco.
Tra poco atterreremo, è una giornata molto fresca a terra, in realtà quasi fredda per chi come me proviene da una Milano torrida di fine giugno. Sono diretto a casa di Paul Ekman.
Quanto leggerete di seguito è l’estratto dell’intervista registrata durante la visita, una via di mezzo, come in altre occasioni, tra amicizia e lavoro, una collaborazione avviata ormai da diversi anni. Prima di cominciare, vorrei però presentarvi Paul.
Paul Ekman è professore emerito di Psicologia all’Università della California a San Francisco.
Massimo esperto di fisiologia delle emozioni, i suoi studi pionieristici sulle espressioni facciali e sulla menzogna hanno portato alla scoperta delle micro- espressioni, mimiche connesse alle emozioni che si manifestano e svaniscono nell’arco di una frazione di secondo.
L’emittente televisiva Fox si è ispirata ai suoi studi e alla sua vita per la realizzazione del serial televisivo Lie to me.
Il Facial Action Coding System (FACS) da lui creato è un atlante che descrive tutte le azioni muscolari che si manifestano sul nostro volto ed è stato utilizzato per la creazione del database di espressioni facciali della Disney – Pixar, impiegato in ogni film d’animazione da loro realizzato dal 1994 ad oggi.
Ciao, Paul. Come ti dicevo, contribuisco in qualità di autore a una rubrica dedicata alle Emozioni sulla rivista Psicologia contemporanea.
Sono felice di poter parlare insieme a voi di emozioni e spero che le nostre parole possano ispirarvi a migliorare e gratificare la vostra vita e le vostre relazioni!
Le persone che frequentano i nostri percorsi di certificazione alle tue metodologie scientifiche mi chiedono spesso una soluzione miracolosa per poter gestire efficacemente lo stress.
Esistono professioni che mettono a dura prova l’equilibrio emotivo e psicologico delle persone.
Sto pensando a quelle tipologie di lavori che prevedono il contatto diretto con le persone e il loro benessere: medici, infermieri, operatori socio-sanitari, psicologi e terapeuti, ma anche alle forze dell’ordine, ai vigili del fuoco e a tutti coloro che si occupano di relazioni di aiuto e dell’incolumità delle persone.
Questi professionisti sono fortemente a rischio per quanto riguarda la sindrome da burnout.
A tuo avviso quali strumenti potrebbero aiutarli a difendersi da questo fenomeno?
Credo che il burnout sia una problematica davvero da non sottovalutare.
Quando cerchiamo di controllare le nostre emozioni più intense e somatizziamo sul nostro corpo gli effetti nocivi dello stress, i segnali verbali e non verbali che si manifestano non devono essere sottovalutati. Né da noi stessi, né dalle persone che lavorano insieme a noi.
Mia figlia Eve ha studiato questo fenomeno all’interno di due contesti emblematici: ha lavorato a stretto contatto con paramedici e infermieri che operano nel reparto di rianimazione del Pronto Soccorso (presso il San Francisco General Hospital) e con gli operatori penitenziari che lavorano presso le carceri minorili (ovvero i JJO, Juvenile Justice Officers).
Con questi professionisti ha svolto un’attività sulla consapevolezza emotiva e su come riconoscere la loro manifestazione non verbale involontaria: mente e corpo sono infatti sempre collegati, come le emozioni lo sono ai nostri pensieri, quindi piccoli e grandi segnali sul volto o nel corpo emergono a prescindere dalla nostra volontà e intenzione.
Se impariamo a riconoscere quando le emozioni si palesano in noi e quando la loro intensità diventa eccessiva e nociva, possiamo migliorare il nostro benessere complessivo: in primis dobbiamo capire l’origine di queste intense emozioni, ritardare le nostre azioni esplosive grazie alla consapevolezza e all’intelligenza emotiva, e infine possiamo imparare pratiche meditative, come la mindfulness, che ci aiutano a ritrovare il nostro equilibrio.
Questa competenza può fare la differenza e aiutarci ad evitare gli effetti del burnout.
A mio avviso, le emozioni dovrebbero essere insegnate già a partire dalla scuola, sia per prevenire i comportamenti problematici (bullismo e disturbi della condotta) sia per generare un moto virtuoso a livello sociale grazie alla conoscenza: imparare a riconoscere le emozioni aiuterà le generazioni future a vivere in armonia e rispetto reciproco.
In Italia abbiamo da poco avviato uno studio pilota che ha visto coinvolte alcune scuole elementari.
Il nostro obiettivo è quello di educare i bambini al meraviglioso mondo delle emozioni.
In collaborazione con la casa editrice Giunti stiamo infatti formando psicologi, educatori e insegnanti all’utilizzo di strumenti e metodologie che li aiutino nella gestione delle emozioni in ambito scolastico, nei confronti non solo dei bambini ma anche dei genitori.
Pure la nostra attività svolta di recente con Disney – Pixar può supportarci, ma il film d’animazione Inside out è solo la punta dell’iceberg, chissà il futuro cosa ci riserverà.
Sì, Inside out e molti altri cartoni animati sono la chiave per parlare ai bambini delle emozioni complesse che ogni essere umano sperimenta durante la vita, attraverso un linguaggio e una modalità a loro graditi.
Anche i genitori possono trarre molti vantaggi dal guardare insieme ai propri figli questi contenuti multimediali.
Le emozioni esistono e influenzano sempre il nostro comportamento.
Perciò è necessario creare competenza nei giovani, perché è da loro che dipenderà il nostro futuro. Noi adulti abbiamo l’obbligo di fornire loro quanti più strumenti è possibile per facilitare e rendere straordinaria la loro vita.
Sempre nel rispetto di sé e degli altri. “Compassion” diciamo noi (“accettazione e assenza di giudizio”).
Hai delle soluzioni per promuovere forme di educazione capaci di vincere i fenomeni di bullismo e cyberbullismo, pratica ormai frequente e diffusissima online e sui social network?
Io penso che ogni problematica comportamentale possa in realtà celare un disagio emotivo non espresso o gestito male.
Essere emotivamente intelligenti comprende l’ascolto attento, l’osservazione dell’altro, il cogliere anche da piccoli e brevissimi indicatori involontari cosa prova o cerca di nasconderci il nostro interlocutore.
Comprendere questo può aiutare a sviluppare una comunicazione empatica capace di disinnescare le emozioni distruttive che avvelenano i rapporti e traghettarle verso emozioni e comunicazioni più funzionali.
La comunicazione verbale e non verbale ci manda dei segnali, sempre; sta a noi saper porre le giuste domande per comprendere le emozioni dell’altro.
Paul, sono estremamente affascinato dal lavoro che tu, tua figlia Eve e il Dalai Lama state recentemente portando avanti: l’Atlante delle Emozioni.
Vi sono non solo descrizioni puntuali di quello che avviene nel corpo, ma anche utili esempi e strategie su come intervenirvi, oltre che una suddivisione in gradi d’intensità delle emozioni.
La conoscenza del Dalai Lama è un evento che mi ha cambiato la vita e ampliato la mia prospettiva teorica.
Non mi ero mai avvicinato alla filosofia che sta dietro alla religione buddista: sono uno scienziato e ho sempre voluto mantenere una visione laica nel mio descrivere le cose del mondo.
Quando mia figlia mi ha esortato a incontrarlo, durante un meeting internazionale tra esperti nel campo emotivo, ho scoperto un uomo intelligentissimo e profondamente colto, un amico che oggi stimo e sento regolarmente.
Vi è un ponte tra la scienza evidence based e alcune pratiche meditative orientali, oggi non vi è più alcun tentennamento accademico su questo.
È straordinario, perché la mente e le emozioni impattano sul corpo, e noi possiamo verificarlo attraverso le nostre metodologie scientifiche.
Quando il Dalai Lama ha proposto a me ed Eve di approntare uno strumento per aiutare gli insegnanti e i professionisti a conoscere e riconoscere le emozioni ero semplicemente onorato ed entusiasta.
La sua motivazione è sempre stata quella di aiutare ogni essere umano a diventare più consapevole dei propri vissuti interiori e lui insegna ad agire in maniera compassionevole con il prossimo al fine di raggiungere pace e felicità.
Per sviluppare questo progetto ha investito circa 750 000 dollari, mi ricordo ancora le parole da lui usate per motivarmi e per esprimermi cosa desiderasse realizzare:
«Per raggiungere il Nuovo Mondo abbiamo bisogno di una mappa per navigare… allo stesso modo, una mappa delle emozioni ci aiuterà a raggiungere uno stato di pace interiore e tranquillità». Sapevo che anzitutto dovevo cercare un dizionario comune per descrivere le emozioni a livello verbale, in modo che vi fossero validità e attendibilità nell’impiegare un linguaggio comune.
Saper dare un nome alle emozioni nella maniera corretta, riconoscendole, è già di per sé fondamentale.
Ho quindi contattato Dacher Keltner, un collega professore di Psicologia presso l’Università di Berkeley, che ha lavorato come consulente per Disney – Pixar nello scegliere e caratterizzare i personaggi di Inside out.
Ha anche svolto il ruolo di consulente per Facebook durante la creazione dei suoi famosi reaction-emoticon.
Insieme a lui ho condotto un’indagine coinvolgendo 149 scienziati (neuroscienziati e psicologi esperti nell’ambito delle emozioni) al fine di trovare un consenso teorico e lessicale sulla natura delle emozioni. Dopo questa indagine abbiamo realizzato il progetto definitivo.
L’Atlante delle Emozioni è un progetto no-profit per espandere la conoscenza sulle emozioni a livello globale. In esso descriviamo 5 grandi famiglie emozionali (almeno per ora): la famiglia della Paura (e tutte le sue sottocategorie), quelle della Gioia, della Rabbia, del Disgusto e della Tristezza.
Insegniamo a nominarle nel modo corretto partendo dai segnali fisiologici e comportamentali, descriviamo strategie utili a migliorare i nostri rapporti. Il tutto è ancora in via di sviluppo, ma per ora ha avuto un grande successo, e di questo siamo grati.
Come ti ho già confermato, tradurremo l’Atlante in lingua italiana in modo da poterlo utilizzare anche nel nostro Paese.
A questo punto, quando sarà pronto, mi auguro che possa essere tu stesso a presentarlo con me in Italia.
Sai bene che sono sempre felice di averti mio ospite.
Sai, Diego, che mi fa sempre piacere tornare in Italia. Adoro gli italiani, non solo per la cultura, l’arte, ma soprattutto per il calore relazionale che vi contraddistingue e le emozioni che mi sapete trasmettere.
Ti prometto che il prossimo viaggio intercontinentale sarà l’Italia.
Con questa promessa, Paul saluta tutti i lettori di Psicologia contemporanea.
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