Rubrica “PSICOLOGIA DELLE EMOZIONI” di Diego Ingrassia – “PERCHÉ CHI CERCA LAVORO MENTE?”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Emozioni – n. 262, Luglio-Agosto 2017 – GIUNTI EDITORE
Provate a digitare le parole: «come affrontare un colloquio di selezione». Sotto la stringa del motore di ricerca leggo: 134 000 risultati in 0.59 secondi.
Le statistiche dicono che la maggior parte di noi non va oltre le prime quattro o cinque pagine, in ogni caso disponiamo già di decine e decine di informazioni e suggerimenti.
Se poi facciamo una veloce analisi sulla natura dei consigli, troviamo ovviamente di tutto: come redigere un curriculum, come acquisire informazioni sull’azienda, come approfondire la job description.
Si arriva poi alla preparazione personale, spaziando dai contenuti allo stile di comunicazione, verbale e non verbale, e poi ancora la gestione delle emozioni e dello stress, senza dimenticare l’abbigliamento.
Qualcuno fa riferimento pure all’alito e alle profumazioni.
Tra una pagina e l’altra compare anche qualche consiglio per la sponda opposta: «quali sono le migliori domande da fare a un candidato durante un colloquio di selezione»; «qual è la missione primaria di un buon selezionatore»; «qual è il luogo ideale per affrontare un buon colloquio».
Mettendo insieme il tutto, non è esagerato immaginarsi uno scenario di guerra, o, se preferite, una sorta di partita a scacchi.
Ma a differenza della guerra e degli scacchi, in questo caso non c’è nessuno che vince e nessuno che perde.
O comunque, crediamo che pensare in questo senso sia molto limitante.
Nelle guerre, infatti, si bara: il gioco della dissimulazione ha un valore spesso superiore a quello delle bombe.
È nota la pratica di costruire sagome di cartone, o più recentemente in vetroresina, al posto di veri aerei o carri armati, per ingannare le foto aeree del nemico e sembrare più grandi e più forti. Immaginiamo allora per un attimo di osservare dall’alto quel tavolo dove sono di fronte due persone, chiaramente con ruoli diversi.
Dall’alto è più facile analizzare quella scena secondo una logica di sistema, e in questo caso sarebbe saggio pensare che da quel colloquio dovrebbe scaturire il miglior incontro possibile tra i bisogni e gli interessi delle due parti. In realtà ciò non accade, o accade ancora troppo raramente, perché anche ai tavoli di selezione si mente.
Una ricerca effettuata da EIA (Emotional Intelligence Academy) nel Regno Unito mette in luce questi risultati. Un quarto delle persone che svolge un colloquio di lavoro mente nella stesura del proprio curriculum vitae. Le distorsioni e omissioni più comuni sono quelle che riguardano:
I dati relativi a queste piccole o grandi menzogne sono in aumento, un dato che non sorprende all’interno di un mercato che, complice la crisi, impone ai candidati di distinguersi ed emergere in uno scenario sempre più competitivo e selettivo.
In alcuni casi la dissimulazione si limita a mere esagerazioni, spesso compensate dal lavoratore che si adatta velocemente al nuovo impiego.
In molte altre situazioni, però, ci troviamo di fronte a dichiarazioni e comportamenti realmente falsi e scorretti.
In questi casi il nuovo assunto può risultare davvero non idoneo alla mansione, e la sua incompetenza può comportare danni ingenti all’azienda in termini di spreco di tempo investito e denaro elargito, oltre a ripercuotersi sulla vita degli altri potenziali candidati, scartati ingiustamente durante l’iniziale selezione, anche se magari oggettivamente più competenti.
Ormai da diversi anni la nozione di competenza ha esteso il campo dell’indagine dalla formazione specialistica legata agli studi o a precedenti esperienze lavorative, alle cosiddette “competenze trasversali” che cercano di identificare e comprendere, nell’ambito di una visione più allargata, le motivazioni, i valori e gli orientamenti comportamentali del candidato.
Mentire su questi aspetti risulta più difficile se chi conduce la selezione è preparato a cogliere aspetti di natura emotivo-comportamentale.
In termini più generali, è bene ribadire che il colloquio di selezione non dovrebbe mai essere vissuto come una sfida, e ciò vale per entrambi i lati del tavolo.
Il gioco asimmetrico teso a dimostrare chi è più bravo, chi vince e chi perde, non paga ed espone al rischio ben riassunto dall’affermazione secondo la quale «le aziende assumono per le competenze e licenziano per i comportamenti».
I tempi sono maturi per poter cominciare a pensare che le conoscenze di cui disponiamo possono aiutarci a modificare la cultura che accompagna le attività di selezione.
La tendenza a fornire dati non veritieri da parte dei candidati, a cui si è accennato in precedenza, in fondo non è che la risposta, sicuramente non corretta, a una diffusa distorsione percettiva che porta a travisare il senso di questa attività.
Contrastare tale tendenza è possibile a partire dall’impegno per un miglioramento delle competenze di chi ha la responsabilità di gestire le attività di selezione.
Devono migliorare la capacità di osservazione e la sensibilità degli operatori del settore, per poter estendere l’indagine alla sfera delle emozioni e delle motivazioni.
Nella gestione del colloquio, quindi, valorizzare quegli aspetti legati all’intelligenza emotiva che svolgono un ruolo determinante nell’equilibrio del processo valutativo.
Pertanto sarebbe bene iniziare a guardare al colloquio di selezione con un mindset diverso,e questo, ancora una volta, è un auspicio che deve poter riguardare tutti gli attori coinvolti.
Abbassare barriere e resistenze e accettare di mettersi in gioco all’interno di un percorso di esplorazione finalizzato a una conoscenza comune, è la premessa migliore per valutare la presenza o meno dei presupposti necessari per un incontro capace di generare prospettive di sviluppo e reciproche opportunità.
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