Articolo di Diego Ingrassia – “IL LINGUAGGIO SEGRETO DELLE EMOZIONI”
per PSICOLOGIA CONTEMPORANEA – Emozioni – n. 262, Luglio-Agosto 2017 – GIUNTI EDITORE
“Il cuore ha ragioni che la ragione non conosce” è un celebre aforisma di Blaise Pascal, che riassume in poche parole il ruolo e l’importanza dell’intelligenza emotiva con tre secoli di anticipo sui lavori di Salovey e Mayer, ai quali solitamente si fa riferimento quando si parla dell’introduzione di questo concetto nel dibattito scientifico.
Daniel Goleman sembra essere perfettamente in sintonia con il pensiero di Pascal quando, all’inizio del primo capitolo del suo libro Emotional intelligence, del 1995, ci racconta gli ultimi disperati istanti di vita di Gary e Mary Jane Chauncey, una coppia di genitori che attraverso il loro sacrificio riescono a mettere in salvo la figlia Andrea, mentre il treno nel quale viaggiavano stava affondando nelle acque di un fiume della Louisiana.
Un gesto irrazionale, visto da una prospettiva puramente intellettuale, ma che – afferma Goleman – ci aiuta a capire il ruolo fondamentale che la nostra evoluzione ha assegnato alle emozioni.
Quanto siamo consapevoli delle nostre emozioni?
Proviamo a partire da un semplice esempio: stiamo scherzando con un nostro amico senza prestare particolare attenzione a quanto diciamo, consapevoli che il livello di confidenza che abbiamo ci permetta di essere diretti, ironici e sinceri.
Ci lasciamo andare a battute colorite e sarcastiche, sicuri che lui non si offenderà, o almeno così crediamo, perché il nostro amico, invece, all’improvviso ammutolisce.
Svaniscono i sorrisi e il suo volto cambia rapidamente: abbassa e unisce le sopracciglia, le labbra si assottigliano e ruotano verso l’interno, ci guarda fissamente negli occhi.
Le sue braccia e il suo busto si immobilizzano.
Un brivido ci corre lungo la schiena, e tutt’a un tratto proviamo un immotivato e incomprensibile disagio: una tensione palpabile, come se una misteriosa energia negativa stesse ora rovinando l’armonia che esisteva tra noi.
Un attento osservatore, addestrato a riconoscere le microespressioni facciali e gli altri elementi di comunicazione non verbale, guardando dall’esterno questa scena comprenderebbe subito il significato di quella situazione in rapida evoluzione.
Intuirebbe facilmente le cause scatenanti e la probabile evoluzione della dinamica relazionale in corso.
Chi ha nozioni su come interpretare correttamente il linguaggio del corpo e del volto trae un oggettivo vantaggio nella comunicazione, perché tramite microsegnali appena percettibili, nei gesti o nel viso, può prevenire reazioni comportamentali che potrebbero essere messe in atto dall’interlocutore.
Cogliere nella fase iniziale questi microsegnali è particolarmente utile per gestire, in noi e negli altri, emozioni potenzialmente distruttive per la relazione.
Ma è davvero così attendibile la comunicazione non verbale nel predire le emozioni?
A questo punto, è importante distinguere gli aspetti che possiamo confermare mediante studi scientifici da quelli riferibili a ipotesi, spesso suggestive ma prive di un solido fondamento.
Un primo esempio di errore largamente diffuso in molte pubblicazioni del settore è quello di attribuire un significato preciso a un determinato gesto, credendo quindi di poter interpretare, senza possibilità di errore, una certa situazione limitandosi alla sola osservazione del “linguaggio del corpo”.
Una normalissima situazione di vita ci può aiutare a chiarire meglio questo concetto: osserviamo che una nostra amica, mentre parla con noi, incrocia le braccia e si accarezza a lungo i capelli.
Se applicassimo alla lettera l’interpretazione presente nei manuali a cui abbiamo accennato, potremmo convincerci che la nostra amica stia manifestando un atteggiamento di chiusura nei nostri confronti (braccia incrociate) e che al medesimo tempo provi ansia (gesto manipolatore reiterato del lisciarsi i capelli).
In realtà, questi gesti possono avere molteplici significati. Alcune persone (e forse anche la nostra amica) trovano comoda e rilassante questa posizione, oppure la assumono perché sono leggermente infreddolite ed essa aiuta a conservare meglio il calore del corpo.
I gesti manipolatori, come accarezzarsi il volto o i capelli, sono semplici e aspecifiche vie di scarico, non necessariamente correlate a qualche emozione.
Ci sono persone che compiono questi gesti quando sono molto agitate, altre quando sono pienamente rilassate e a proprio agio.
Questi stessi comportamenti possono rappresentare un passatempo stereotipato e abitudinario, oppure semplicemente contrastare un prurito improvviso.
In sintesi, la comoda idea di poter stabilire una correlazione di senso biunivoca tra gesto e significato non ha nessun fondamento scientifico e porta a interpretazioni inevitabilmente scorrette.
Un secondo elemento importante da prendere in considerazione è la valutazione degli atteggiamenti “normali” della persona che stiamo osservando.
Questo aspetto, definito tecnicamente baseline, comprende l’insieme dei comportamenti ripetitivi compiuti dal soggetto, ovvero le abitudini e le routine consolidate che ha in un determinato ambiente.
In assenza di questa analisi non è possibile capire se un gesto o una postura che osserviamo nel nostro interlocutore sia dovuto a una semplice abitudine, oppure sia legato a uno specifico stimolo o contenuto verbale della conversazione in atto.
Infine, un’ultima osservazione dovrebbe indurci a una maggiore cautela interpretativa: molti movimenti che fanno capo al linguaggio del corpo – gesti, posture, uso del contatto fisico – spesso li facciamo in maniera consapevole e volontaria, e in più possono essere appresi per imitazione.
Potrebbe essere il caso di una persona tendenzialmente timida e riservata, indotta a dover assumere un atteggiamento più dinamico e spigliato nella gestione delle relazioni, per ragioni di tipo professionale.
Chiaramente, questo sforzo di adattamento porta a operare al di fuori della cosiddetta “zona di comfort”, quindi a sacrificare parte della propria spontaneità in favore di un obiettivo prestabilito. Questo tipo di atteggiamento autoimposto può ingannare uno sguardo teso alla ricerca di singoli segnali di conferma, difficilmente invece indurrebbe in errore l’osservatore con una specifica competenza finalizzata al riconoscimento di rapidissime microespressioni facciali che comparirebbero al primo momento di stress, disvelando, insieme ad altre manifestazioni comportamentali, il reale vissuto emotivo del soggetto in questione.
È impossibile controllare tutti i canali della nostra comunicazione nel medesimo istante, e perciò preziose informazioni relative a pensieri e sensazioni emergono in modo spontaneo e inevitabile al di fuori della nostra consapevolezza.
L’osservazione del comportamento non verbale può dunque attingere da studi e ricerche basati su evidenze scientifiche importanti.
A partire dal lavoro di ricerca di Paul Ekman, sappiamo che per alcune specifiche emozioni esistono segnali inequivocabili e molto attendibili.
Il termine “espressioni facciali universali” indica che alcune mimiche legate a un preciso significato emozionale sono manifestate nello stesso modo (ossia con gli stessi muscoli del volto) da qualunque persona al mondo, a prescindere dall’età, dall’etnia, dal genere, dall’istruzione o dal livello culturale di chi la esprime.
Queste espressioni facciali universali, a oggi, sono state associate a 7 emozioni fondamentali: rabbia, paura, disgusto, disprezzo (inteso come senso di superiorità), sorpresa, felicità e tristezza.
Le espressioni facciali legate a queste 7 emozioni possono manifestarsi in maniera completa in tutto il volto, o solo su una parte di esso (espressioni sottili); talvolta, infatti, i segni rivelatori di un’emozione li possiamo notare in leggerissimi movimenti della bocca, della fronte, delle palpebre o delle sopracciglia.
È quindi importante sapere cosa osservare, e focalizzare la nostra attenzione su alcuni specifici movimenti chiave.
Chi è addestrato a cogliere questi rapidi microsegnali dispone di uno strumento molto efficace: può infatti ricavare preziose informazioni correlate alle emozioni che il suo interlocutore non è consapevole di manifestare, e verificarle all’istante per mezzo di domande mirate.
Tali abilità, a nostro avviso, dovrebbero essere impiegate in modo etico, nel rispetto della persona e della sua privacy.
Possono rappresentare un’eccezione i casi giudiziari o le vicende legate alla sicurezza, dove la posta in gioco è molto alta: intervistare un indagato o cercare di prevenire un crimine.
Per comprendere meglio questo livello di osservazione, passeremo ora in rassegna i segnali caratterizzanti ognuna di queste emozioni, le cause (trigger) capaci di far scattare l’emozione, e infine accenneremo alla funzione adattiva, ovvero a qual è il ruolo che ognuna di queste emozioni ha svolto nel nostro percorso evolutivo (vedi box sotto).
Come abbiamo visto, pur manifestandosi con gli stessi muscoli facciali, le emozioni sono soggette a influenze individuali e producono quindi reazioni diverse. Una scena violenta, per esempio, può innescare rabbia e un adrenalinico moto violento: attaccare per difendere chi ha subito violenza. La medesima scena, però, potrebbe generare solamente sdegno e disgusto in chi la osserva, oppure paura o tristezza, accompagnate dal desiderio di allontanarsi al più presto. Perché accade questo? Siamo forse tutti diversi? Non necessariamente; in realtà esistono stimoli universali capaci di innescare in ogni essere umano la medesima emozione, si pensi alla perdita di equilibrio che provoca paura, oppure a un ostacolo che si oppone ai nostri obiettivi generando rabbia, o a un odore nauseante che fa scattare in noi il disgusto. In altre situazioni, invece, non possiamo non tener conto del condizionamento legato all’esperienza personale, come nel caso di alcune paure e fobie: del volare, dello stare in luoghi chiusi o in luoghi aperti, dello stare al buio, dell’affrontare il vuoto, gli insetti ecc. Ancora una volta, elementi culturali si mescolano a fattori ascrivibili all’evoluzione della specie, e ciò accade perché ambiente e caratteristiche genetiche da sempre si influenzano. Nonostante queste caratteristiche individuali che ci differenziano, siamo uniti come esseri umani da un elemento davvero straordinario: proviamo emozioni, ci sentiamo vivi quando le percepiamo e per questa ragione le ricerchiamo attivamente. Le emozioni, insieme ai sentimenti, sono la linfa e il nutrimento che ci fanno sentire vivi.
RABBIA
Gli elementi da notare nelle espressioni facciali di rabbia sono: le sopracciglia che si abbassano e si uniscono, le palpebre che si sollevano e si tendono, e le labbra che si assottigliano (margini delle labbra rivolti verso l’interno). Cosa può farci arrabbiare: gli ostacoli al raggiungimento dei nostri obiettivi, le minacce fisiche, gli insulti rivolti a noi, un rifiuto o un’aspettativa delusa. Funzione adattiva: la rabbia ci aiuta a essere determinati e ad avere la giusta energia per “rimuovere” un ostacolo che ci si pone davanti.
DISGUSTO
Il labbro superiore si solleva, a volte il naso si arriccia, spesso ci voltiamo per allontanarci dalla fonte del disgusto, e ne prendiamo distanza fisica e psicologica. Cosa può farci provare disgusto: un sapore, un cattivo odore, toccare qualcosa di viscido, la vista o il pensiero di qualcosa che non ci piace. Gli stimoli che innescano il disgusto in noi sono più che altro soggettivi e legati alla cultura di appartenenza (un esempio immediato: la preferenza o meno nei confronti di alcuni cibi). A livello interpersonale e relazionale, anche le persone, con le loro azioni o il loro aspetto, addirittura con le loro idee, possono disgustarci. Funzione adattiva: il disgusto ci evita di entrare in contatto con ciò che non ci piace o che ci può contaminare (molto legato alla nutrizione: evitare sostanze velenose o tossiche).
SORPRESA
Le sopracciglia e le palpebre superiori si sollevano, la mandibola cade verso il basso ma senza tensione. Cosa può sorprenderci: qualsiasi cosa inaspettata e ai nostri occhi imprevedibile. Funzione adattiva: far convergere la nostra attenzione verso un target specifico che entra nel nostro ambiente. La sorpresa spesso precede altre emozioni: ci possiamo sorprendere e poi spaventare se notiamo un pericolo, oppure arrabbiare se ci accorgiamo che si palesa qualcosa che non ci va a genio, oppure provare gioia quando ci meravigliamo o ci fanno una gradita sorpresa, ecc.
DISPREZZO
Un solo angolo della nostra bocca si comprime e si solleva, l’espressione è quindi unilaterale. Cosa può renderci sprezzanti: un’azione immorale, un comportamento o una persona che riteniamo agire o esprimersi in modo stupido, qualcuno che senza speranza ci affronta malgrado la nostra palese superiorità in un campo (sfidare la nostra leadership). Funzione adattiva: il disprezzo permette di salvaguardare l’autostima e di evitare di entrare in conflitto fisico (anche in natura si nota questo comportamento: il maschio alfa negli scimpanzé spesso usa questa mimica per comunicare a un potenziale rivale la propria superiorità palese, e il più delle volte l’esemplare di rango inferiore si ritira manifestando atteggiamenti di sottomissione).
PAURA
Le sopracciglia si sollevano e si uniscono, gli occhi si spalancano, le labbra si tirano verso le orecchie. Cosa ci spaventa: gli stimoli che ci possono spaventare possono essere potenzialmente infiniti e spesso sono soggettivi, ma convergono verso un tema comune, ossia la minaccia alla propria incolumità fisica o psicologica. Funzione adattiva: evitare il pericolo e comunicare rapidamente agli altri presenti (che immediatamente reagiscono di conseguenza e si allarmano) la presenza di una minaccia.
TRISTEZZA
La parte centrale delle sopracciglia si alza, gli angoli della bocca si abbassano. Cosa può renderci tristi: quando subiamo una perdita o un abbandono da parte di una persona che amiamo, la perdita di un’opportunità o di una gratificazione, oppure il provare empatia con la sofferenza degli altri. Funzione adattiva: richiedere supporto o cercare un momento di solitudine per ricaricarsi.
FELICITÀ
Gli angoli della bocca si sollevano, gli angoli degli occhi si strizzano e compaiono alcune righe orizzontali (le cosiddette “zampe di gallina”). Cosa ci rende felici: il piacere sensoriale (derivato dal gusto, dall’olfatto, dal tatto, dalla vista e dall’udito), l’eccitazione nei confronti di una nuova sfida o nei confronti di qualcosa che troviamo interessante, il sollievo quando una fonte di distress (anche uno stimolo doloroso sul piano fisico) viene rimosso, quando qualcosa ci diverte, quando siamo orgogliosi di noi stessi o degli altri, ecc. Funzione adattiva: comunicare apertura e assenza di minaccia verso chi ci sta di fronte (sorriso che mitiga la tensione).
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