La storia ci racconta che Demostene, considerato uno dei più grandi oratori di tutti i tempi, nei suoi anni giovanili era affranto per i suoi gravi difetti di pronuncia.
Una corretta dizione era infatti un requisito di estrema importanza in un mondo, quello dell’antica Grecia, che considerava l’arte oratoria come indispensabile strumento per l’ascesa sociale e politica.
La soluzione ai suoi problemi arrivò da un attore di nome Satiro che lo educò all’importanza della respirazione e lo sottopose a bizzarri esercizi che consistevano nell’affrontare lunghe orazioni trattenendo alcuni sassolini all’interno della bocca.
I moderni public speaker hanno probabilmente esigenze diverse; in ogni caso i corsi di aggiornamento legati al tema della comunicazione continuano, a distanza di anni, a rimanere tra i più richiesti dalle aziende.
La ragione principale che sta alla base di questo forte interesse è che si è compreso sempre meglio che la comunicazione non si riduce mai a un mero trasferimento di informazioni e che richiede invece lo sviluppo di precise competenze.
Se accettiamo di analizzare le diverse situazioni di comunicazione da questa prospettiva, scopriremo anche noi che non ha nulla a che vedere con il caso il fatto che un certo messaggio risulti noioso e venga presto dimenticato, oppure ci appaia chiaro, incisivo ed emotivamente coinvolgente.
L’esempio più efficace è quello di alcuni slogan, nati dal genio creativo di qualche pubblicitario, capaci di fare la differenza.
Nella comunicazione one-to-one gran parte delle parole che pronunciamo vengono mediate attraverso la comunicazione non verbale, il vero e proprio termometro delle relazioni.
Oltre al contenuto del messaggio, giocano un ruolo fondamentale lo sguardo, le inflessioni della voce, le espressioni e micro espressioni facciali, le posture assunte.
Tutti questi elementi “colorano” i nostri interventi di comunicazione e ci forniscono preziose informazioni circa il coinvolgimento degli interlocutori nella conversazione: interesse, partecipazione, livello di sintonia, resistenze, ecc.
Quanto descritto finora si complica però in un contesto di public speaking, dove gli interlocutori possono variare da poche unità a centinaia di persone a seconda della tipologia di evento.
Una riunione con il proprio team richiede a un manager di gestire un “pubblico” con cui ha confidenza.
La situazione in questi casi risulta poi ulteriormente facilitata dalla natura formale dei ruoli in questione; l’insieme di queste cose consente (senza dimenticare l’importanza della gestione della relazione) di concentrarsi con più facilità sugli aspetti contenutistici dell’intervento.
Ma quando il public speaking è svolto in presenza di un pubblico completamente nuovo, il ruolo, la tecnica e l’esperienza del public speaker gioca un ruolo fondamentale, oltre al numero di persone presenti.
Mantenere il contatto, essere comunque in relazione, mantenere vivo l’interesse dei partecipanti, può richiedere infatti strategie e soluzioni diverse in funzione del contesto, dell’ambiente e della quantità di pubblico presente: trenta o trecento persone, ad esempio, rappresentano situazioni radicalmente diverse.
Se un pubblico ristretto consente di mantenere facilmente il contatto visivo e lascia aperta la possibilità di coinvolgere in diversi modi le persone presenti, un gruppo molto più ampio richiede un altro tipo di impegno.
Diventano decisamente più importanti lo stile e la modalità di presenza del relatore sul palco, i materiali che utilizza per la sua presentazione, l’attenzione all’ambiente e al contesto. In sintesi: una maggiore attenzione agli elementi formali che possono influenzare positivamente la percezione del pubblico presente.
A questo punto diventa importante fissare alcuni punti fondamentali sui quali un buon public speaker dovrebbe sapersi concentrare. Eccoli:
1) SCEGLIERE UN OBIETTIVO
Qual è il principale obiettivo del nostro intervento: informare, motivare, coinvolgere, rassicurare, convincere?
Ognuna di queste finalità richiede un impegno e strategie diverse, disperdere la nostra energia assegnando al nostro intervento più di un obiettivo o non identificarlo affatto non produce mai buoni risultati.
Molti professionisti, per quanto possa sembrare strano, quando affrontano il pubblico sono molto preparati su “cosa” dovranno dire ma non si sono chiesti: “perché” lo devo dire? Qual è lo scopo? Quale effetto desidero produrre? Cosa vorrei che accadesse? Perché dovrebbero ascoltarmi con interesse?
2) “RESPIRARE L’AMBIENTE” PRIMA DELL’INTERVENTO E GESTIRE GLI SPAZI
Prendere visione dello spazio fisico dove si svolgerà l’intervento aiuta a familiarizzare con l’ambiente, così come è importante controllare il buon funzionamento degli strumenti necessari (microfono, proiettore, luci) onde evitare fastidiose distrazioni.
È importante anche chiederci come ci disporremo nello spazio dedicato; la posizione seduta può funzionare bene in alcuni contesti (convegni con più relatori), ma in genere è preferibile stare in piedi di fronte al pubblico.
Parlare dal podio o in uno spazio libero sono condizioni molto diverse: la prima conferisce autorevolezza al relatore, ed è allo stesso tempo “protettiva”, lo spazio libero può invece enfatizzare le doti espressive del public speaker capace di gestire in modo consapevole il proprio linguaggio del corpo.
3) GESTIRE LE EMOZIONI E I PENSIERI AUTO-LIMITANTI
È frequente provare paura o un leggero stato d’ansia poco prima o durante il proprio speech e non è necessariamente un male.
La paura ci permette di rimanere focalizzati sul nostro obiettivo e con un po’ di esperienza possiamo imparare a trasformarla in energia e determinazione via via che prendiamo dimestichezza con il pubblico.
Esistono pensieri e pensieri, quelli che possono influenzarci in maniera incoraggiante e quelli debilitanti correlati alla paura di danneggiare la propria immagine (“perdere la faccia” o la propria immagine dinnanzi al pubblico).
Tutto dipende dalla prospettiva che decidiamo di assumere.
Dal punto di vista di chi scrive, è sempre meglio pensare a qualcosa di realistico, come “Sono fortunato, sto parlando di fronte a mille persone!”, poiché ci mette nella condizione di avere un atteggiamento positivo.
4) SPEECH PERSONALIZZATO AL TARGET, MAI STANDARD
Le parole efficaci sono sempre rivolte a un soggetto specifico.
La natura di questo soggetto cambia in funzione del contesto, ma è importante comprendere che le nostre parole devono raggiungere le persone, “toccarle”.
Viceversa le nostre parole rischiano di girare a vuoto e generare, nella migliore delle ipotesi, indifferenza in chi ascolta.
5) PRESENTAZIONI
Una presentazione di supporto può rappresentare un ottimo strumento; è bene tuttavia premiare la semplicità e la sintesi: troppi grafici, numeri e tabelle, al di fuori di specifiche esigenze tecniche, rischiano di affaticare e annoiare il pubblico in ascolto.
Anche l’utilizzo di troppi bullet point, specialmente se “scoperti” uno alla volta, rendono la presentazione meno efficace e potenzialmente noiosa.
Le slide dovrebbero contemplare un rapporto immagine/testo del 70/30 per essere più incisive e facilmente ricordate a distanza di tempo.
Utilizzare video e predisporre attivazioni permette inoltre di coinvolgere il pubblico.
6) TIMING, DOMANDE DEL PUBBLICO ED EXTRA-TIMING RELAZIONALE
È bene sempre calcolare in maniera precisa il timing del proprio intervento, slide per slide.
Valutare quando è opportuno soffermarsi e quando scorrere velocemente.
È inoltre importante prevedere se e quando concedere domande o interventi da parte del pubblico.
Un consiglio: per favorire la partecipazione è possibile dichiarare di volerle ricevere anche durante lo speech (se il contesto lo consente) e non solo alla fine.
Rispettare la durata dell’intervento è fondamentale, come lo è concedere un extra-time qualora uno o più partecipanti desiderasse maggiori informazioni di approfondimento non in plenaria. Tutto questo aiuta a valorizzare strategicamente la relazione con le persone intervenute.
7) ALLENAMENTO E PERSONALITÀ
Migliorare le proprie doti di public speaker è un percorso che richiede, come accade per altre competenze complesse, allenamento ed esperienza.
È bene essere graduali, soprattutto se si è alle prime armi: iniziare con piccoli gruppi e farlo frequentemente, e via via affrontare contesti più numerosi e complessi.
8) VISIBILITÀ, EFFICACIA E SOCIAL NETWORK
Il mio speech ha generato risultati concreti?
Ho aumentato l’interesse nei confronti dell’attività che svolgo, della mia azienda, dei miei prodotti?
Se registriamo un aumento di richieste e-mail o aumentiamo i follower dei nostri social network in maniera marcata è probabile che il nostro intervento abbia colpito.
Se le persone si ricordano di noi anche a distanza di tempo, possiamo considerarci degli efficaci public speaker.
9) CHIEDIAMO FEEDBACK A PERSONE DI CUI CI FIDIAMO
È sempre utile avere un feedback esterno rispetto alla nostra performance.
Videoregistrarsi aiuta inoltre a identificare meglio i punti di forza e le aree carenti del proprio speech, in modo da sapere dove migliorare la prossima volta.
10) SODDISFAZIONE PERSONALE
Siamo soddisfatti del nostro speech?
Potrebbe non esserci una correlazione diretta tra la nostra percezione e quella del pubblico, ma è sempre bene chiederci se ci siamo piaciuti davvero.
La consapevolezza, abbinata alla tecnica, ci rende professionisti competenti e public speaker sempre in aggiornamento.
Un public speaking efficace è quindi semplice e innovativo.
Dobbiamo parlare di cose concrete: azioni e obiettivi, emozioni e motivazioni che possiamo condividere per valorizzare la nostra leadership e il nostro business in ottica win-win.
Il tuo carrello è vuoto.