Il contatto oculare è un segnale d’attenzione cognitiva, che crea un collegamento visivo e comunicativo tra due persone, e che coinvolge il piano relazionale ed emozionale tra i due.
Guardare negli occhi qualcuno, oltre a comunicargli la nostra attenzione, può elicitare in lui emozioni variegate, a volte molto intense.
Guardare negli occhi intensamente può essere usato per sedurre durante il corteggiamento, ma può anche innescare reazioni d’imbarazzo, competitività o ostilità1. Il distogliere lo sguardo abbassa quasi immediatamente i livelli di stress innescati durante un’interazione comunicativa, per cui, in media, raramente tra gli interlocutori il contatto oculare dura più di tre secondi.
Il contatto oculare è influenzato dalle regole di esibizione introiettate nella propria cultura d’appartenenza. Michael Watson2, in una ricerca correlata alla prossemica in soggetti di nazionalità diverse, ha riscontrato che i soggetti appartenenti a culture arabe conversano a lungo e in posizione frontale verso l’interlocutore, più dei nordamericani e degli europei. Nell’interazione, si fronteggiano in maniera più diretta. Si guardano maggiormente negli occhi, si toccano di più e parlano a un livello sonoro più alto. Durante un’interazione comunicativa, in Giappone gli ascoltatori sono tenuti a concentrarsi sul collo dell’oratore in modo da evitarne il contatto oculare, mentre negli Stati Uniti avviene l’opposto, poiché è segno di buona educazione e rispetto guardare negli occhi l’altra persona mentre parla3.Negli ascensori affollati, è prassi non guardare per nulla l’altro, onde evitare imbarazzanti conversazioni di circostanza.
Nella vita di coppia, quando le persone si amano da tempo o sono in disaccordo, spendono molto meno tempo nel guardare negli occhi l’altro4.
Lo sguardo diretto, accompagnato da un volto sorridente e postura con corpo in avanti, è un segno affidabile di buon feeling tra persone che si stanno conoscendo5.
Nei primati, e poi nell’uomo, lo sguardo persistente si è evoluto come segno di dominanza e o di minaccia6, mentre evitare lo sguardo dell’altro è spesso correlato ad atteggiamenti di sottomissione al dominante7.
È un cliché privo di fondatezza oggettiva, l’affermare che chi mente “solitamente” evita lo sguardo dell’intervistatore. Anzi, talvolta accade esattamente il contrario: per apparire più sincero affidabile, chi subisce un interrogatorio spesso cerca deliberatamente il contatto visivo dell’intervistatore.
Come deve approcciarsi il professionista ai diversi stili comportamentali della persona?
Ciò che un professionista deve saper fare è tracciare un’accurata baseline dell’interlocutore (serie di osservazioni e interazioni ripetute nel tempo, con lo scopo di rintracciare l’usuale stile comportamentale della persona), in modo da poter rilevare immediatamente quando qualcosa di particolare emerge.
Un errore da evitare per chi si occupa di interrogatori è l’utilizzare stile d’intervista con domande incalzanti e suggestive, con occhi fissi sull’indagato, quasi in un atteggiamento di sfida personale e inquisitorio. Questo modus operandi crea solamente disagio nell’interlocutore, ma non è detto che l’ansia che potremmo riscontrare in lui possa essere dovuta alla paura di essere scoperto (se colpevole), oppure accompagnare un sincero e disperato tentativo di affermare la propria reale innocenza (ricerche sperimentali hanno dimostrato che l’usare questa particolare tipologia d’interazione con l’indagato, crea in lui un incremento dei gesti adattatori di auto-manipolazione)8.
Come usare quindi il proprio sguardo per migliorare la nostra comunicazione e diventare comunicatori efficaci?
Abbiamo capito quanto sia importante tracciare un’attenta baseline del nostro interlocutore prima di scegliere cosa dire o come interagire con l’altro.
Questa fase ci permette di evitare sconvenienti misunderstanding sul piano della comunicazione, favorire il processo di empatia e migliorare la nostra abilità di instaurare relazioni positive con gli altri. Lo sguardo, come ogni segnale non verbale da noi trasmesso, va modulato con gentilezza e rispetto, a prescindere dal nostro ruolo o dal tipo di comunicazione in cui siamo inseriti.
Diego Ingrassia
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1 Exline, R., Gray, D., & Schuette, D. (1965). Visual behavior in a dyad as affected by interview content and sex of respondent. Journal of Personality and Social Psychology, 1(3), 201.
2 Watson, O. M. (1970). Proxemic behavior: A cross-cultural study. The Hague: Mouton.
3 Burgoon, J. K., & Burgoon, M. (2001). Expectancy theories. Handbook of language and social psychology, 2, 79-101.
4 Argyle, M., & Dean, J. (1965). Eye-contact, distance and affiliation. Sociometry, 289-304.
5 Palmer, M. T., & Simmons, K. B. (1995). Communicating intentions through nonverbal behaviors conscious and nonconscious encoding of liking. Human Communication Research, 22(1), 128-160.
6 Blurton Jones, N. G. (1967). An ethological study of some aspects of social behaviour of children in nursery school. Primate ethology, 347-368.
7 Altman, I. (1973). An ecological approach to the functioning of socially isolated groups. Man in Isolation and Confinement, Chicago: Airline, 241-270.
8 Bond, M. H., & Komai, H. (1976). Targets of gazing and eye contact during interviews: Effect on Japanese nonverbal behavior. Journal of personality and social psychology, 34(6), 1276.
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1 Comment
Davvero un bellissimo ed approfondito articolo. Credo molto in questo tipo di approccio, e la prudenza che segnali dai facili magheggiamenti, rispetto al proliferare on line di guru che fanno confondere la formazione trasversale con lo spettacolo.
Ho trovato molto utile e professionale i riferimenti bibliografici.
Grazie